giovedì 7 dicembre 2023

INNO ALLA PASSIONE (By Pamela H. Grey)

 


La nostra bravissima amica Pamela H. Grey ha donato al blog un altro racconto inedito che stavolta è ambientato in città.

Se l'ambientazione dunque diversa dal solito si conferm invece la bravura di Pamela nel narrare con delicatezza i turbamenti dei personaggi che dei suoi racconti... che però sfociano sempre in scene torride e bollenti come poche.  

Non finirò mai consigliare il libro di Pamela "Il risveglio di Emy" che non dovrebbe mancare nella biblioteca di ogni appassioanto di letteratura hard/erotica.

Donato


Mentre passeggiava lungo la via principale di quel paese del quale ignorava il nome, fu colpito dal suono più dolce che avesse mai udito: l’incantevole voce di un soprano che cantava un mottetto di Bach. Era una delizia, faceva pensare al coro degli angeli.

Si fermò e stette per qualche momento in ascolto. Il canto proveniva dalla bella chiesa che aveva di fronte.

Entrò, vide la cantante e rimase a bocca aperta.

Era splendida. Doveva essere più giovane di lui, anche se non di molto, ed era quasi certamente vergine. Uno stretto abito bianco la copriva dalla gola ai piedi, ma finiva per suggerire le sue forme e Paolo non poté evitare di immaginarla nuda. Nella sua purezza era la donna più sexy che avesse mai incontrato, i seni sodi e pieni, la vita sottile che sottolineava la dolce curva delle cosce e la bellezza delle gambe, le chiappe giovani e snelle che parevano in attesa di qualcuno che ne gioisse.

La fissò a lungo, poi, improvvisamente i loro occhi si incontrarono e un fremito che le attraversò tutto il corpo insieme al fuoco di un desiderio fino ad allora sconosciuto fece perdere a Maria Bellini, la nipote del parroco, una battuta dell’inno.

Terminato un secondo inno, Maria si avviò verso l’uscita dove Paolo la attendeva pieno di speranza. Quando lo raggiunse, i loro occhi si incontrarono di nuovo e lei rimase in piedi accanto a lui, agitata, senza sapere cosa dire.

“Ciao, mi chiamo Paolo.”

"Ciao, mi chiamo Maria" rispose lei abbassando gli occhi.

"Canti meravigliosamente bene" le disse, la voce dolce e profonda.

"Grazie, io amo davvero cantare" gli rispose respirando a fatica per l’emozione.

“Sono qui per caso, ieri mi è andata in panne la macchina e ora devo aspettare fino a sera. Sarebbe bello se qualcuno mi portasse in giro a vedere il paese."

Maria guardò verso la sacrestia. Sapeva che lo zio non glielo avrebbe mai permesso, e proprio quella fu la molla che la spinse, l’idea di uscire da quella triste prigione nella quale la teneva rinchiusa, e poi voleva assolutamente conoscere il ragazzo che le aveva dato quegli strani brividi, e disse di sì.

Uscirono dalla chiesa tenendosi per mano, e salirono sull’auto di Maria che improvvisamente andò in panico.

Era spaventata, assalita da un’insolita sensazione, che cosa stava facendo? Aveva sognato spesso che un uomo la portasse via da quel paese insignificante. Sapeva che fuori il mondo era bello ed eccitante, ma anche e soprattutto pieno di pericoli. Eppure quando i suoi occhi avevano incrociato quelli di Paolo, aveva provato qualcosa di sconosciuto, un’attrazione capace di abbattere tutte le regole e le barriere con cui era cresciuta, l’ano si contrasse e le grandi labbra furono bagnate dai fluidi secreti dalle pareti della vagina. Per un attimo, però, il timore dello zio ebbe il sopravvento.

“Stiamo sbagliando tutto, io non dovrei essere sola con te senza chiedere allo zio” disse. Saltò giù dalla macchina e corse in chiesa.

Paolo la vide attraversare la strada ed entrare in chiesa. La attese abbastanza a lungo fra l’arrabbiato e il preoccupato. Poi, sollevato, la vide emergere dal portone principale e andare verso di lui sorridendo.

“Gli ho detto che sei il fratello di Marta, la mia migliore amica, e che resterò da lei fin quasi a sera. Un giorno di libertà, finalmente!”

Si fermarono a mangiare un bistecca accompagnata da un buon vino rosso. Maria non aveva mai assaggiato alcun tipo di alcolico e lo gustò moltissimo, tanto da diventare un po’ brilla. Quando risalirono in macchina, Mario le si avvicinò lentamente, la bocca socchiusa, le labbra umide, e la baciò.

Il bacio la fece vibrare fin nel profondo del suo corpo. La lingua di Paolo scivolò fra le sue labbra socchiuse, penetrò nella sua bocca arida, e lei la succhiò. La saliva sgorgò dalle sue ghiandole e si mescolò a quella di lui mentre tutti i suoi nervi formicolavano.

Combattuta fra il senso di colpa e la voluttà, era di nuovo spaventata.

“Se vado a casa in questo stato, mio zio mi uccide” mormorò.

"Non preoccuparti, dolcezza, ti porto dove potrai recuperare dormendo qualche ora” le disse avviando l’auto nella direzione del motel che l’aveva ospitato quella notte.

Mentre entravano nella camera di Paolo, Maria barcollò un poco e lui le cinse la vita per sostenerla. Attraverso il vestito lei sentiva il calore della mano che la teneva, sentiva la forza delle dita che premevano sopra e sotto l’osso dell’anca.

 

Gli occhi di Paolo brillavano di lussuria mentre guardava i suoi seni delineati dal sottile tessuto del vestito e Maria non era abbastanza lucida da notare il sottile cambiamento che era avvenuto in lui dopo che il desiderio lo aveva sopraffatto.

Collassò sul lettone e chiuse gli occhi, per un momento, si disse, solo per un momento.

Guardandola, Paolo sentì i genitali contrarsi, non la stava toccando, non faceva nulla, la guardava soltanto, ma stava cominciando ad avere un’erezione.

Sapeva istintivamente che era vergine e che aveva avuto un’educazione duramente tradizionalista, ma il suo modo di muoversi, di parlare e di reagire gli faceva sospettare che in lei fosse nascosta una vena di lascivia, selvaggia ma ancora inespressa, di cui lei stessa non era consapevole. Voleva risvegliare quella vena, voleva sentire Maria gemere e contorcersi sotto di lui.

Quando era caduta sul letto, la gonna le era salita fino alla vita e Paolo poteva vedere il suo giovane monte di Venere e la peluria che lo copriva attraverso le mutandine di pizzo che indossava.

Si chinò a baciarla sulla fronte, si ritirò, si spogliò e rimase in piedi a guardarla dormire, le gambe piegate alle ginocchia. Poteva vedere chiaramente le grandi labbra socchiuse e la carne rosea della vagina insieme a quella bianchissima e morbida dell’inizio delle natiche.

La sonnolenza impedì a Maria di rendersi conto che Paolo le aveva tolto le scarpe e le stava baciando la caviglia e il polpaccio. Né lo sentì sfilarle il vestito dalla testa e non capì quello che stava succedendo quando Paolo le alzò il sedere e fece sfilare le mutandine giù per le dolci curve delle cosce, fino a levarle, portando finalmente alla luce il triangolo dorato dei peli pubici.

Respirando pesantemente, le allargò lentamente le gambe, si inginocchiò fra di esse, incollò lo sguardo su quel ciuffo di pelo biondo e sulle labbra rosa completamente aperte della giovane e vergine fica che lo chiamava, che voleva essere toccata, baciata, mangiata come un frutto maturo appena staccato dall’albero.

Il suo fallo, eretto, duro, gonfio da fargli male sfregava contro il copriletto su cui appoggiava le ginocchia, mentre sulle palme delle mani sentiva il calore dell’interno delle cosce che stava ancora allargando. Fu allora che Maria cominciò a guadagnare un po’ di consapevolezza, sia pure incerta. Sapeva di avere il culo nudo appoggiato su un letto sconosciuto, di avere le gambe completamente allargate, mentre due mani bollenti accarezzavano l’interno delle sue cosce avvicinandosi sempre di più alla figa. Tutto le parve stupendo.

Paolo intuì che si stava svegliando e quando la sentì irrigidirsi temette qualche sua protesta, ma fu solo un attimo prima che lei si rilassasse e lasciasse di nuovo cadere mollemente le gambe aperte sul letto. Lui sorrise e si leccò le labbra: lei sapeva cosa stava per fare e gli permetteva, anzi, gli chiedeva di farlo.

Si mosse svelto in avanti fino ad avere la faccia proprio sopra la dolce, umida, luccicante, piccola fessura fra le sue gambe. Non aveva mai visto una figa deliziosa come quella, le grandi labbra erano perfette, La peluria pubica, morbidamente setosa, sottolineava la bellezza della bocca della vulva, piccola e delicata, come il bocciolo di una rosa rossa.

Lentamente abbassò la faccia, la lingua scivolò fuori dai denti come un piccolo pene rossastro. La leccò lentamente e delicatamente, dal clitoride all’ano. Tornò indietro e questa volta sentì i tendini all’interno delle cosce irrigidirsi e l’intera zona pelvica alzarsi contro la sua bocca.

A Maria pareva di essere in un sogno, un magnifico sogno e si sentiva bella e viva come non era mai stata. Era così bello… ma era sbagliato! Cercò di alzarsi e di protestare, ma Paolo spinse la lingua ancora più a fondo mentre col naso le titillava il clitoride e il piacere ebbe momentaneamente il sopravvento.

Era turbata, nella sua mente combattevano paura e puro godimento. Ogni cosa che le era stata insegnata, tutto quello in cui aveva creduto, venivano lentamente erosi dalla lingua che così piacevolmente leccava, succhiava e accarezzava, tutto allo stesso tempo. Era peccato… era bellissimo.

"No… no," piagnucolò chiudendo gli occhi “non possiamo farlo, è peccato!”

Paolo capì che nemmeno lei voleva davvero che si fermassero. La sua lingua ricominciò a muoversi alternativamente dal clitoride all’anellino dello sfintere, sette, otto volte, chiavandola senza interruzioni nella figa e nell’ano.

I suoi occhi si godevano avidi le grandi labbra che, completamente sbocciate erano cresciute in dimensione e colore. C’era vita in quelle labbra così ben incorniciate dai riccioli biondi. Una goccia dei suoi fluidi vaginali brillava da sola sulla sottile peluria dorata, come una goccia di rugiada su una rosa gialla.

Lei lo guardò intensamente, la mente confusa in un turbine di desideri in conflitto. Era sbagliato, stavano gravemente peccando, ma era così delizioso! Meglio di qualunque cosa o sensazione che avesse provato nei suoi venti anni di vita.

La mani di Paolo si erano staccate dalle cosce ed erano scivolate sulle natiche, prendendole a coppa, schiacciandole, accarezzandole e ondate di piacere proibito, e piccoli zeffiri di pura libidine pervadevano il corpo di Maria, mentre lui allargava la fessura fra le chiappe e un dito cominciava a esplorare l’apertura grinzosa del suo piccolo retto. Lei serrò gli occhi, chiuse a pugno le mani, volò via verso il suo primo vero orgasmo.

Era meraviglioso, non aveva mai sospettato che il suo corpo fosse capace di una tale estasi. Era delizioso essere coccolata e accarezzata, era deliziosa la sensazione della bocca calda di Paolo, là, dove le gambe si univano, era delizioso sentire il suo dito contro lo sfintere.

Continuò a chiavarla oralmente, girando con la lingua intorno al piccolo clitoride in erezione, sentendo le grandi labbra spingere sempre più forte contro la sua bocca.   Il corpo di Maria era scosso dagli spasmi e si contorceva verso l’alto nello sforzo di aumentare via via il contatto fra la sua carne e la bocca di lui. Il dito che occupava il suo ano ne uscì lentamente mentre la sua bocca scendeva verso lo sfintere e la lingua sbatteva, sbatteva come una saetta contro il piccolo foro appena dilatato.

Le gambe appoggiate sulle spalle di Paolo, gemeva selvaggiamente e, con i talloni cercava di portarne la testa più vicina, perché la lingua le entrasse più a fondo nell’apertura rettale.

All’improvviso, quando le terminazioni nervose della figa cominciarono a vibrare insieme a quelle del culo, comprese di essere vicina a una voluttà che non aveva mai immaginato possibile.

 

Paolo sentì che lei nuotava in uno sconosciuto mare di piacere e approfittando della scorrevolezza del canale, lubrificato dalla sua saliva e dai fluidi vaginali di lei, allargato dalla sua lingua, insinuò un secondo dito accanto a quello che già occupava l’ano di Maria, che si dibatteva, si contorceva, balbettava irriconoscibili parole di passione. Era vicina, sempre più vicina, a un nuovo violento orgasmo e cantava mentre le mani di Paolo giocavano col suo culo e il suo clitoride.

Il violento orgasmo che la colse quasi inondò la bocca di Paolo, l’impeto delle scosse della sua zona pelvica lo colpì in pieno volto facendogli pensare che stava probabilmente perdendo qualche goccia di sangue.

Infine la tempesta dei suoi sensi si placò e lei rimase distesa sul lettone completamente rilassata.

Poteva sentire il freddo del copriletto e del sudore che la bagnava dalla fronte, ai fianchi, alle natiche, il calore che veniva dal corpo di Paolo. Sorrise, appoggiò la testa sulla sua spalla, chiuse gli occhi e con la mano libera strinse il suo pene in una specie di presa convulsiva.  Rapito da quella tenera pressione, da quei delicati, deliziosi e continui schiacciamenti, dagli ingenui movimenti della mano che alternativamente scoprivano e ricoprivano il glande, Paolo fu pieno di lussuria e il suo sperma, troppo a lungo trattenuto, riempì la piccola mano di Maria.

1 commento:

Eros ha detto...

grazie Donato per la pubblicazione di questo bellissimo racconto di Pamela H. Grey