lunedì 16 maggio 2016

I RACCONTI A PUNTATE: LA MIA STRADA VERSO TIPPY .....PRIMO EPISODIO



La mia carissima amica e lettrice LESBIA cogliendo al volo la mia "proposta indecente" di scrivere un racconto a tematica lesbo, mi ha subito inviato questo primo lungo episodio di una nuova serie di racconti a puntate che volentierissimo ospiterò qui sul mio secondo blog...Lo stavo trascurando questo Tippyland, è vero...ma mi occorrerebbe più tempo per scrivere bei racconti ispirati come piacciono a me e quindi cedo lo spazio, al momento, alla mia amica Lesbia con questo LA MIA STRADA VERSO TIPPY. Serie a episodi ricca di ricordi autobiografici, suggestioni e eccitanti atmosfere vintage (richiamate anche dalla nostra comune passione per i fumetti sexy anni 70 e 80) mescolate a fantasie dove, dalle prossime puntate, anche la sottoscritta sarà come si intuisce dal titolo una co-protagonista.
Sono piacevolmente onorata di far parte delle fantasie erotico affettuose della mia lettrice e amica, lei sa che non sono lesbica, ma poco importa...la fantasia non deve avere limiti e sicuramente quella di Lesbia è così ben descritta e curata da affascinare e eccitare una limitata eterosessuale come me...Grazie Lesbia per questo primo episodio, sono curiosa di leggere anche gli altri e sono convinta che anche molti lettori e lettrici lo saranno....
Commentate mi raccomando e poi se anche voi avete dei racconti erotici nel cassetto da propormi per essere pubblicati qui o altro, seguite l'esempio di Lesbia e scrivetemi a tippy.hostess@mail.com
PS: ...vi prometto che prima o poi arriveranno anche le prossime puntate dei miei racconti....
  BUONA LETTURA


PRIMO EPISODIO  ...un racconto di Lesbia.....

Ci sono dei giorni in cui non vorrei alzarmi dal letto per niente al mondo. Soprattutto da quando sono rimasta sola a dormirci. Altri in cui invece la smania mi prende, salterei giù caricata a molla, mi vestirei da zoccola ed uscirei a rimorchiare. Ad offrirmi alla prima avventura che passa.
E’ dura ritrovarsi single a cinquant’anni. Allungare la mano di notte, e sentire l’altra metà del letto vuota, fredda. Sentire vuota e fredda in generale, ogni giorno, l’altra metà della vita. Vagare nella metà della vita che mi è rimasta, stordita come la sopravvissuta ad un incidente. Alternando momenti in cui mi sembra di aver perso tutto, dalla speranza alla sensibilità a qualsiasi voglia, ad altri in cui la mia libido mi sembra risvegliarsi come neanche quando ero adolescente. In quei momenti sono “in calore”, come si suol dire. Farei le cose peggiori, ed è solo un caso, fortuna o sfortuna, che non le abbia fatte. Almeno finora.
Vivo così, come una doppia personalità. La sopravvissuta e la zoccola (almeno nella fantasia). Le poche persone in grado di capirmi, o perlomeno quelle a cui sono in grado di aprirmi, mi dicono di stare tranquilla, di non rassegnarmi, di darmi tempo e prenderla con calma. Ci vuole tempo a riprendersi dalla fine di un lungo rapporto, nel mio caso vent’anni. Poi la vita torna a rifiorire, per forza. Non è possibile – mi dicono – che una donna bella come me non abbia prima o poi ai suoi piedi gli uomini che vuole.
Il problema è proprio lì. Non tanto il fatto di sentirmi bella, o no. Quando avevo vent’anni mi piacevo di più. Ma non è quello il punto. Il punto è ciò che voglio.


Io sono lesbica. Lo sono da quando ho l’uso di ragione, o forse è meglio dire da quando ho l’uso e la consapevolezza della mia sessualità. Da quando, da adolescente, ho scoperto che i primi turbamenti – quelli che ti portano ad esplorare con mano tremante il tuo stesso corpo, a liberare e far scorrere sensazioni, stimoli e fantasie, a dare a te stessa quello che hai sentito dire che si chiama “piacere”, andando per tentativi – non me li procurava il corpo maschile, come a tante mie compagne di scuola ed amiche.
No, a me il tremito alle mani, alle gambe, al respiro, il battito accelerato, il fiato mozzo e tutto ciò che prima o dopo esplode nelle prime masturbazioni lo dava il corpo delle femmine.




A me piacciono le donne. L’ho sempre saputo, da ragazzina in cerca di me stessa come adesso da donna adulta in cerca della propria amante perduta. Della propria anima gemella che, maledetta lei e quel giorno, dopo vent’anni di amore da perdersi e di sesso (almeno ai tempi d’oro) sfrenato e travolgente, ha deciso che aveva bisogno di ritrovare se stessa, esplorare nuove emozioni. Lasciandosi alle spalle questa lesbica per correre tra le braccia di un uomo – questo l’ho saputo poi -, la sua scoperta epocale, la sua nuova frontiera.
E io qui a piangere, le tue carezze perdute, il profumo della tua pelle di seta, la tua femminilità, le tue labbra, i tuoi sussurri, ed il piacere che ne traevo. Non ho amato nessun’altra come te, maledetta. Non amerò nessun’altra, mai più. Anche se uno di questi giorni vincerò la mia paura, l’educazione che mi viene da altri tempi, mi vestirò davvero da puttana e uscirò ad adescare o a farmi adescare dalla prima ragazzina dagli occhi da cerbiatta e dal seno impertinente che troverò per strada. Dice che le donne di oggi sono di mentalità più aperta, di gusti più vari, più libere o forse soltanto più spregiudicate. Dice che adesso amarsi tra donne non è più un tabu come lo era ancora trent’anni fa, quando educazione e condizionamenti mi sono costati la mia adolescenza e la vita sessuale che avrei potuto avere.
Ho scoperto me stessa a tredici anni, quando ho cominciato a leggere di nascosto da mio fratello i giornalini erotici che lui leggeva di nascosto dai nostri genitori. Un doppio segreto, che raddoppiava la sensazione di peccato, trasgressione, vergogna mista a estasi. Non sono mai stata cattolica praticante, ma la mia era una famiglia dove la sessualità era tabu. Figurarsi i suoi risvolti più “proibiti”, come masturbarsi. Figurarsi le fantasie che spingevano le tue mani a scivolare lungo il tuo corpo in cerca di sensazioni di cui non si poteva chiedere spiegazione a nessuno....
Scoprire il deposito segreto di giornalini di mio fratello ed appropriarsene di nascosto, scoprire che quella era la chiave di accesso a quella parte di me che almeno per pochi istanti – tormentati dal terrore di essere scoperta – poteva diventare il centro dell’universo e un attimo dopo lasciarmi stravolta, bagnata, vergognosa, ma anche entusiasta, fu la svolta della mia vita.
Il passo successivo fu rendermi conto che l’intensità con cui potevo “godere” variava a seconda delle fantasie che mi prendevano e delle immagini che le evocavano. Nei giornalini di mio fratello, il sesso scorreva a fiumi secondo varianti di cui non avevo sospettato nemmeno l’esistenza. Creature di ogni genere e razza si accoppiavano tra loro in tutte le combinazioni e secondo modalità che mi lasciavano a volte esterrefatta. Più spesso deliziosamente meravigliata, piacevolmente interessata, perversamente affascinata.

All’inizio, bastava sfogliare le prime pagine per sentirmi bagnata. Uomini si accoppiavano con donne nelle posizioni e con le tecniche più svariate, e godevano. E io con loro. A volte bastava infilare la mia mano destra nelle mutandine. Imparai ben presto che quello che facevo si chiamava “ditalino”, serviva a darsi il piacere da sole ma non se ne poteva parlare con nessuno. Erano pratiche “proibite”, le donne che indulgevano in esse erano definite perverse, depravate. A me piaceva un sacco essere perversa.




Come diversivo, piacevolissima variante, si poteva con l’altra mano tormentarsi un capezzolo. Se poi si voleva discendere ancor più la china della perversione, ma anche quella del piacere, la mano maestra non aveva che da scendere un po’ più giù tra le cosce. Fino a quell’altra apertura, sotto la passerina. Quella che all’inizio faceva un po’ male, ma poi……Le donne che facevano questo, seppi ben presto, si chiamavano “puttane”. Sentirmi puttana mi piaceva molto.
Mi sentivo puttana nei più svariati momenti della giornata, anche mentre camminavo per strada e mi tornava in mente il pensiero di cosa avevo letto nei giornalini proibiti. Quelli che gli adulti chiamavano pornografici, e che a me parevano opere d’arte. In quei momenti, perfino lo sfregamento delle mutandine all’interno delle mie cosce e sulla passerina ed il culetto mi sembravano deliziosamente insopportabili. Non vedevo l’ora di arrivare a casa e infilarmi le dita dentro. Sgrillettarmi, come dicevano i maschi, e se non bastava farmi anche il culo.
Dopo un po’, mi accorsi che diventavo più selettiva, nelle fantasie erotiche e nelle immagini che le provocavano. Mi accorsi che c’erano immagini sulle quali mi soffermavo più a lungo di altre, e più volentieri. Che c’erano eroine di quei benedetti fumetti porno in cui mi immedesimavo più volentieri, cercando di riprodurne su me stessa il godimento.
Mi accorsi che c’era qualcosa di ancora più perverso (quanto mi piaceva quell’aggettivo, già solo sentirlo nominare mi provocava una certa agitazione tra le gambe….) ma nello stesso tempo di più piacevole della stessa masturbazione. C’era un peccato che – a giudicare dal poco di educazione sessuale che ci veniva impartita a quei tempi – veniva classificato ancora più abbietto dell’onanismo. Era l’omosessualità.




Mi accorsi con sgomento pari ad un piacevole stordimento (preludio a sensazioni ben più forti) che le immagini che mi eccitavano di più, finendo a provocarmi gli orgasmi più intensi, erano quelle dove donne giacevano con altre donne. Presentandosi nude le une davanti alle altre, seducendosi, accarezzandosi, baciandosi, strofinandosi, leccandosi, possedendosi nei modi più creativi e fantasiosi.
Non c’era internet allora, ed era difficile documentarsi su certe cose. Io almeno non ero così sfrontata, e mi è rimasto addosso. Adesso che in certi momenti avrei così tanto bisogno e desiderio di un vibratore, so che non troverò mai il coraggio di entrare in un sexy shop a comprarlo. E’ un retaggio culturale, cominciato allora da ragazzina, quando avrei voluto approfondire certi argomenti e dovevo aspettare che mi capitasse qualche rivista da adulti sottomano da sbirciare. Quelle dove si affrontavano argomenti come l’omosessualità femminile da un punto di vista filosofico e tecnico, non pornografico. Riviste da sfogliare con nonchalance, facendo finta di interessarsi alla rubrica di ricette o a quella della posta del cuore.



Avevo una gran voglia di sapere che cos’era una “lesbica”. Perché una donna può desiderare un’altra donna, e se è una malattia grave, una deformità, una colpa di cui vergognarsi per il resto dei propri giorni. Come fanno l’amore due donne, non essendo dotate da Madre Natura di organi adatti all’accoppiamento come due partner etero. Com’è che due donne, almeno a vedere sulle pubblicazioni cosiddette porno, possono godere così tanto per effetto dei reciproci toccamenti, lecca menti, ecc….
Avevo una gran voglia di capire se IO ero lesbica. Ed in quel caso che cosa ne sarebbe stato di me. Se avrei dovuto far estirpare dal mio essere quella depravazione con ferri roventi, se sarei riuscita ad appassionarmi ai maschi come al momento mi succedeva per le femmine. Mi capitò alle mani una rivista dove campeggiava in copertina il richiamo all’articolo SCOPRIRSI LESBICA. La lessi avidamente e convulsamente. I sintomi ce li avevo tutti. Ero dannata?
Nel frattempo, godevo, godevo, godevo. Mi capitava per le mani la storia di Isabella Duchessa dei Diavoli, che fermatasi a passare la notte in un convento di suore finisce a farsi sculacciare dalla sua ancella, per poi – una volta eccitatasi ben bene – farle depositare la testa sul proprio seno appena velato da un eccitantissimo negligere, mentre l’ancella le dichiara il proprio amore ed Isabella scopre di ricambiarlo.



Oppure la storia di Biancaneve che si ritrova a dare soccorso alla bionda fanciulla in pericolo, Erika la svedese. Dopo averla condotta nei suoi appartamenti, la invita a prendere un bagno ristoratore, e mentre Erika si spoglia Biancaneve si scopre eccitata dal suo corpo di adolescente (come potevo essere io a quel tempo) e vogliosa di goderne. Ma timorosa di ricevere un rifiuto, si dispone a tenersi per sé le proprie fantasie lesbiche allorché la piccola Erika la coglie di sorpresa. Accortasi che Biancaneve le guarda le tette, la vichinga la invita a scoprire le sue, per un confronto. Sul successivo sessantanove saffico credo di essermi prodotta in uno dei più travolgenti ditalini della mia intera adolescenza.
O la storia finale di Ulula, la licantropa. Desiderosa di tornare normale, si rivolge alla dottoressa Haran, esperta nel curare malattie come la sua. La bionda dottoressa promette di aiutarla, ma in cambio chiede un pegno. Ulula dovrà giacere con lei, e soddisfare i suoi appetiti omosessuali. Il pegno viene pagato sotto la doccia, Ulula si ritrova presa in mezzo tra la Haran e la sua assistente, che la sfiniscono di baci e carezze. Ho sempre tenuto nel cuore questa storia, perché più tardi la mia “prima volta” si rivelò molto simile ad essa. Licantropia ovviamente a parte.


Ho goduto sulle vittime saffiche della vampira Jacula, sulle amanti indiane della piratessa Jolanda, sulle compagne d’avventura di Maghella. Sono arrivata quasi alla fine dell’adolescenza sfinendomi di ditalini sulle mie eroine di cartone e sui loro amori lesbici. Era il mio rifugio di piacere, il succedaneo ad una vita sessuale che non avevo il coraggio di vivere. Sognavo di essere un giorno sedotta, presa e posseduta da una bellissima donna, ma mai e poi mai avrei avuto io il coraggio di fare simili avances.



Continuavo a pensare di essere malata. Nel frattempo, un paio di tentativi con dei maschietti – intrapresi più a scopo terapeutico che per convinzione – andarono a male. Con uno non riuscii ad andare oltre un bacio, che mi disgustò. Con l’altro, mi spinsi fino a masturbarlo. A fargli una sega, come dicevano i maschietti. Lo sperma che mi lasciò in mano chiuse per me per sempre i conti con l’eterosessualità, lasciandomi peggio che disgustata.
Andavo al cinema, erano i tempi di Bilitis di David Hamilton, di Emmanuelle, di Miriam si sveglia a mezzanotte. Sognavo sui corpi di Patty D’Arbanville, di Sylvia Kristel, di Catherine Deneuve e di Susan Sarandon che si toglie la maglietta per mostrarle le tette. Correvo a casa a chiudermi nel cesso, per masturbarmi furiosamente. A volte piangevo disperata, convinta di essere irrecuperabile ma senza nessuna voglia di essere recuperata.
Le riviste erotiche non mi piacevano, le trovavo troppo trash rispetto alla delicatezza artistica dei tratti disegnati dei miei adorati fumetti porno. Avrei voluto comprarmi un vibratore, ma anche ad aver avuto il coraggio non avrei saputo dove andare a cercarlo. Giocavo a pallavolo, all’epoca, e negli spogliatoi trovarmi nuda in mezzo alle mie coetanee nude, sudate, bagnate, immaginavo a volte anche eccitate, era per me croce e delizia. Sognavo che qualcuna di loro (soprattutto un paio, di una ero praticamente innamorata e speravo che non si notasse!) mi arrivasse da dietro e mi facesse scivolare le sue mani insaponate addosso, mentre cercavo di spegnere i miei bollori sotto la doccia. Ovviamente, non succedeva mai, e a casa erano altri furiosi ditalini.
Avevo bisogno di un miracolo, o di qualcosa che mettesse fine alle mie sofferenze di lesbica che non accettava se stessa. Avevo vent’anni ormai quando il miracolo arrivò.




Ero al prim’anno di università. D’estate feci un viaggio di studio a Londra, per imparare la lingua. Speravo di impratichirmi con la lingua in ben altri sensi, ma non mi facevo illusioni. Non più, dopo anni in cui l’unico sollievo erano state Maghella e Biancaneve.
La mia compagna di stanza a Londra era una morettina di Roma, carina, spigliata, affascinante nei modi e simpaticissima nelle sue uscite. Mi piaceva molto, e decisi che non volevo prendermi una cotta per lei, perché ne avrei sofferto, come sempre. Ma era dura, anche perché fin dalla prima sera Bettina – così si chiamava -  si spogliò nuda davanti a me senza inibizioni non appena fummo rimaste sole. E in quella mise desabillée prese a girare per camera come se nulla fosse.
La sua improntitudine, o forse soltanto la sua mancanza di complessi simili a quelli che tormentavano me, fece sì che a poco a poco anche io perdessi una parte delle mie inibizioni, cominciando a spogliarmi davanti a lei. Nel frattempo, l’affiatamento tra noi due cresceva, c’era simpatia ed un certo qual feeling (per dirla nella lingua del posto). Ridevamo insieme, scherzavamo insieme, studiavamo insieme, uscivamo insieme, facevamo tutto insieme, a volte anche la doccia, a cominciare da quella sera in cui lei mi chiese di insaponarle la schiena. E io dovetti decidere lì su due piedi se lasciare che mi prendesse l’infarto che sentivo in arrivo, o se mi comportavo finalmente da adulta facendo quanto richiestomi e basta.
La tensione affettiva tra me e Bettina saliva giorno dopo giorno. A volte coglievo nei suoi occhi qualcosa (senza riuscire ad immaginarmi cosa coglieva lei nei miei). A volte un sorriso durava più del necessario, una sua mano sfiorava la mia più a lungo del dovuto, e viceversa. Una battuta più audace, magari a sfondo sessuale, provocava risate dai toni più alti, e dal retrogusto indefinibile ma decisamente sopra le righe normali. Qualche abbraccio durava qualche attimo in più, magari giusto il tempo di avvertire l’una le forme dell’altra sotto le T shirts e gli shorts che indossavamo.
Io non le chiedevo mai di insaponarmi, e cercavo di non indulgere più del necessario quando era lei a chiedermelo, di sbrigarmi. Stranamente, ma neanche poi tanto, non mi masturbavo mai pensando a lei, perché mi dicevo che non volevo innamorarmi di lei. Non volevo che quell’estate finisse in un inferno. Nel mio solito inferno.
Una sera eravamo un po’ brille, un margarita di troppo. Cuscinate, dispetti, prese di lotta, risate, sguardi non so quanto intensi. Durante una sessione di lotta greco-romana il mio viso si ritrovò a pochi millimetri dal suo, le mie labbra alla distanza dello spessore di un foglio di carta dalle sue. Sarebbe bastato un niente…..
Ma io ero una vigliacca, e mentre lei mi osservava con il suo sorriso strano io mi alzai lasciandola in terra distesa. “Vado a farmi una doccia!”, le dissi, e mi diressi verso il bagno facendo volare per la stanza gli abiti che mi toglievo quasi con rabbia. Una rabbia rivolta tutta verso me stessa.
Sotto l’acqua corrente, credetti in un primo tempo di trovare sollievo, di snebbiarmi la testa e di disperdere quelle emozioni che mi stavano devastando. Quella tenaglia che avvertivo al basso ventre, quel richiamo irresistibile alle mie mani, alle mie dita, perché scendessero laggiù, a darmi pace.
Le mani le tenevo bene in alto, ad insaponarmi i capelli. Non volevo innamorarmi di Bettina, non volevo masturbarmi per lei, fantasticando di essere con la mia bocca tra le sue cosce come avevo visto fare a tante fanciulle disegnate in quei porno che costituivano tutta la mia esperienza sessuale.
Fu allora che successe. Sentii un paio di mani che scivolavano sul mio seno, fino a coprirlo a coppa. Sentii le dita che titillavano i miei capezzoli, immediatamente eretti come due chiodi da carpentiere. Sentii le forme di un corpo nudo di donna che si appoggiava al mio da dietro fino ad aderirvi. Un paio di tette che premevano contro la mia schiena con i capezzoli turgidi come i miei. Un monte di venere che si strofinava contro il mio fondoschiena, rischiando di non farmi capire più nulla, di piegarmi le gambe di schianto.
Sapevo che era Bettina. Sapevo che alla fine aveva provato le mie stesse sensazioni, i miei stessi sentimenti ed al contrario di me aveva deciso di cedere ad essi. Sapevo che ero ad un millimetro dal cedere anch’io. Che se mi fossi voltata verso di lei, l’avessi baciata e abbracciata facendo di me e di lei una carne sola, avrei fatto l’amore con la creatura più desiderabile di tutta la mia vita. Avrei goduto come sognavo fin da ragazzina. E avrei definito me stessa per sempre...
Ero lì nuda in piedi sotto l’acqua, con Bettina che mi accarezzava e si muoveva dietro di me, cominciando a scendere sulla mia pelle con una delle mani, a scivolare giù verso il mio basso ventre, sollecitando con piccoli baci il mio orecchio sinistro. E avevo un solo istante per decidere cosa fare. Se accettare la sua seduzione. Ma soprattutto se accettare finalmente quello che ero.
Se fare di lei la mia amante e aprirmi finalmente alla vita, la mia vita, o respingerla e chiudermi nel rimpianto, e non sapere più quale sarebbe stata la mia vita. Avevo un solo istante per decidere, non solo di quel momento ma del mio intero futuro.
Lo feci...

Fine primo episodio...


15 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Lesbia quante emozioni mi hai regalato...un bellissimo e toccante racconto con i ricordi delle tue sensazioni ed emozioni di ragazza che si scopre...mi spiace l'amaro incipit sai già quello che ti auguro...ti ringrazio molto e ti abbraccio forte
antonius

Lesbia ha detto...

Ciao Antonius, ti abbraccio anch'io...sono contenta delle emozioni che ti regalo e di quelle che io stessa sto provando....
per quanto amaro possa essere stato l'incipit, magari la fine della storia sarà dolce.....quando questa strada arriverà a Tippy, là dove mi portano le mie fantasie....

Anonimo ha detto...

bellissimo e sensuale racconto di apparente diversità...bravissima sei tutti noi e viva la libertà di espressione e sesso sei un mito baci baci baci...viva l'amore !!!

Daice ha detto...

Lesbia.. leggere questo tuo racconto mi ha fatto desiderare di essere donna...
Ed ho detto tutto!
Complimenti: non vedo l'ora di leggere il prossimo racconto (anche perchè sono curioso di scoprire che ruolo avrà la mia socia in seguito..eh,eh..)
Bacioni. Daice

pontellino ha detto...

Complimenti!
Solitamente sono molto prevenuto sulle autobiografie, o sedicenti tali.
Ma questa mi ha fatto ricredere: devo dire che, verso la fine del racconto, mi sono trovato a parteggiare spudoratamente per la protagonista, sperando che succedesse quello che tutti speravamo succedesse. Era da tanto che non mi trovavo così coinvolto in una storia!
Merito del fatto che entrambi (io e lesbia) spesso interveniamo in un blog comune, per cui mi sembra quasi di leggere l'opera prima di una quasi conoscente?
O merito dell'ottimo stile della scrittrice, che ti porta prima a soffrire, e poi a tifare per le sorti della stessa?
Probabilmente tutte e due.
Una piacevolissima sorpresa.

Anonimo ha detto...

Ciao Lesbia, complimenti un bellissimo racconto...davvero. Qui non si raccontano solo sensazioni, emozioni, ma anche sentimenti...sentimenti profondi.
Ti ringrazio molto.
Bacioni
Fabri

Lesbia ha detto...

non so coem ringraziarvi, per le vostre belle parole....se vi ho suscitato qualche emozione, sono felice.......
posso solo dirvi che la seconda parte è quasi pronta, e che per vedere entrare in scena la "nostra" Tippy dovrete aspettare ancora un po'......

Anonimo ha detto...

E poi??? E poi che succede? Cosa ha deciso? E come arriva Tippy, come si conosceranno, che farano insieme???? Uff....lo sapevo io che non dovevo cominciare, che dovevo aspettare che la storia fosse completa, mi aveva pure avvertito Pontellino che c'era un detersivo...che era...il cif, il cif...che cif era...ah il cif hanger! E io che sono curioso come una biscia che faccio ora...uff.... E va beh, aspetto...
Gary ... uff...

Lesbia ha detto...

manca poco, Gary....

la hostess ha detto...

ahahahah Gary il cliffhanger di cui avvertiva Pontellino non era nel racconto di Lesbia ma nell'ultimo episodio di Bionica che si conclude con lei che precipita nel burrone e non sapremo mai se si salverà o no... Lesbia ci lascia con l'attesa di scoprire che accadrà ma presto come promesso ce lo svelerà con nuovi episodi :))) Ti rifaccio ancora tantissimi complimenti Lesbia, come vedi il racconto ha avuto un bel successo, tante visualizzazioni e commenti: BRAVA!!

Anonimo ha detto...

...uff!!
Comunque ho commentato anche su fb, leggerai quando entrerai nel gruppo! :-) :-)
Gary, curioso come una biscia e dispettoso come una bertuccia

Anonimo ha detto...

A me incuriosisce molto di più il cif di Lesbia, voglio sapere subito...ecco!
Gary

Lesbia ha detto...

la seconda parte è in viaggio.....per facebook....ci penserò....:-)))

Anonimo ha detto...

:-) Ok, se ci pensi...ma davvero davvero...lo copio anche qui il commento.
La prima parte ti lascia un po' così, dispiaciuto, preoccupato...ma ti tranquillizzi subito, perchè capisci che una donna così la strada per tornare alla felicità la ritrova e anche in fretta, ma figurati!
Poi arriva il clou, lo spogliarello dell'anima, in poche righe, la splendida descrizione della scoperta della sessualità, che in piccola parte Lesbia aveva anticipato chiacchierando anche con me, sotto qualche fumetto nel blog; grandioso, mi sono sentito lì, nel racconto, accanto a Lesbia, ho desiderato darle una carezza (anche comprare per suo conto un certo attrezzo che lei si vergognava di chiedere...ahahaha), insomma, mi sono sentito suo amico.
Grandissima Lesbia, un bacio.
Gary

Lesbia ha detto...

grazie caro Gary..... :-)))))