lunedì 23 maggio 2016

I RACCONTI A PUNTATE: LA MIA STRADA VERSO TIPPY....SECONDO EPISODIO




Quando mi voltai per incontrare le sue mani, le sue labbra, il suo corpo nudo, bagnato, tremante, rovente come il mio, la decisione era presa. Un istante prima ero una ragazza spaventata dai suoi desideri, timorosa di se stessa e del mondo che l’attendeva. Un istante dopo ero una donna che aveva accettato se stessa, che avrebbe amato le donne per il resto della sua vita e che di sicuro in quel momento amava Bettina con tutto il suo essere.
Mi ritrovai a baciarla come se l’avessi sempre fatto. A toccarla, accarezzarla, frugarla, come se fossi una seduttrice di donne esperta. Le mie mani sapevano dove andare. L’avevo visto migliaia di volte nei miei giornaletti. Sapevo come fare l’amore con lei.
Tremavo, come una foglia. Consapevole che il momento era arrivato. Che non c’era ritorno. Che quella sera sarei diventata donna. Lesbica e felice. Tra le braccia della creatura più meravigliosa che in quel momento ci fosse al mondo, per me. Avevo solo un ultimo passo da compiere. Avevo una verginità da perdere...







Quasi avesse percepito quell’istante di perplessità che come un brivido aveva attraversato il mio corpo interferendo con i nostri gesti amorosi, quel “qualcosa che mi stava succedendo”, Bettina addolcì le sue carezze, stornando la bocca dalle mie labbra per sussurrarmi all’orecchio. “va tutto bene, tesoro?”
Seppi in quel momento che mi ero innamorata perdutamente di lei. Che il mio amore era ben riposto. La dolcezza con cui rallentò il passo per aspettarmi, qualunque cosa mi avesse turbato, e per accudirmi, qualunque fosse il mio problema, me la rese ancora più cara e desiderabile.
Ai miei tempi, la verginità era un problema, un tabù, un macigno, un ostacolo, un qualcosa con cui fare i conti in un modo o nell’altro, che uno fosse ligio alla “morale” o meno. Mi ero chiesta tante volte come avrei fatto, quando fosse arrivato il momento…..voglio dire….con un uomo c’è poco da immaginare, solo da stringere i denti ed “aprirsi”….ma l’amore dei miei sogni non era un uomo.
Le parole mi uscirono come se non dipendessero da me, come se fossero le più naturali del mondo. “Niente, tesoro….” Le risposi, “è solo che sono vergine”.
“Oh, piccola……”, mi disse lei guardandomi dolcemente negli occhi e accarezzandomi il volto, mentre l’altra mano si tratteneva su uno dei miei seni. Vidi che non sapeva come continuare, timorosa di trovare le parole ed i gesti sbagliati.





Dio, quanto ti amavo, Bettina…..come fu facile pronunciare le mie di parole. Anch’io la accarezzai, la baciai dolcemente sulle labbra, indugiai nel bacio. Poi, tornando a guardarla negli occhi, le presi la mano che era sul mio seno e la spostai sul mio monte di Venere, cercando di ignorare la frustata che mi dette lo sfregamento del capezzolo nello spostamento ed il brivido del contatto della sua mano tra le mie cosce.
“Rompimela”. Lo dissi con calma, con tono di voce deciso e tuttavia da cui speravo trasparissero insieme tutta la mia determinazione ed il mio desiderio di offrirmi a lei, come ad una fidanzata a cui si è giurata la promessa di matrimonio. Un quarto d’ora prima scagliavo rabbiosamente i vestiti per la stanza diretta ad una doccia che avrebbe dovuto essere fredda, per calmarmi bollori che credevo senza speranza. Adesso mi sembrava di essere tra le sue braccia da sempre, e di doverci restare per l’eternità. “Rompimela, amore mio”, le ripetei, accentuando lievemente la pressione della mia mano sulla sua, appoggiata alla mia femminilità.
Adesso era lei a tremare, lo percepii chiaramente. Non era il freddo, né l’acqua. Era la consapevolezza dell’enormità del dono che le stavo facendo. Me stessa. La mia intimità. La mia sessualità. Il mio amore. Il mio sesso. Il mio imene. La vidi lottare contro se stessa per non rovinare quel momento. Per non perdere quello che aveva appena trovato.
“Sei sicura?”, sussurrò incerta.
“Sì, amore”. La mia voce non tremava più. Mi ero già data. Quello che sarebbe successo sarebbe stata solo la conferma.
Non le detti più tempo di ribattere. Guidai le sue dita dentro di me, tra le grandi e le piccole labbra. Cercai disperatamente di mantenere il controllo, perché sentivo che era lei ad aver bisogno di essere guidata. Ma era dura. Una delle sue falangi si appoggiava sul mio clitoride. Avevo voglia di urlare, riuscii a socchiudere soltanto gli occhi mentre il suo dito medio scivolava dentro di me. Ansimavo e mugolavo. Lei ansimava e mugolava con me. E poi ebbe l’intuizione di tornare a baciarmi sulla bocca, o in alternativa a mordicchiarmi l’orecchio. A sussurrarmi le più belle parole d’amore che io avessi mai potuto immaginare. Nessuno mi aveva mai chiamato coniglietta, cerbiatta, cucciola. Nessuno mi aveva mai chiamata amore.
Mi sciolsi. Bagnatissima, e non per la doccia, sentii la mia carne che si apriva per accoglierla. Il suo dito medio che arrivava alla barriera dell’imene. Tra le cosce ero un fuoco. Percepii la sua ultima esitazione. La sua mano stentava a trovare l’impulso all’ultimo movimento, quello che mi avrebbe penetrata definitivamente. Sapevo che era terrorizzata all’idea di farmi male.




Toccava a me. Chiusi un attimo gli occhi, ripensando a Maghella, a Biancaneve, a Zora in quei numeri iniziali in cui venivano deflorate e cominciavano la loro vita sessuale proseguita per tanti numeri….. cercai di ricordare, un breve istante di dolore (o almeno speravo breve…), un urletto e poi la marea di piacere che montava. Speravo fosse così, e sperandolo trassi un ultimo respiro.
Rafforzai la presa sulla sua mano, e spinsi dentro le dita con decisione. Al medio si era unito l’indice, nel frattempo. Le due dita penetrarono la mia membrana come un piccolo vibratore. Ci fu lo spasmo di dolore. Ci fu l’urletto, magari più forte di quello che mi aspettavo di fare. Ci fu un lago tra le mie cosce. Sapevo che in parte era quel piacere che ancora non avvertivo, in parte era il sangue che avevo versato a Bettina in pegno del nostro amore. Come avevo visto succedere tante volte nei miei adorati fumetti, adesso la mia passerina era rotta. Non ero più vergine. Ero una donna.
Bettina perse ogni remora. Anzi, adesso sapeva che più in fretta si muoveva, più rapidamente il dolore avrebbe ceduto il posto al piacere. Non mi deluse. Le mie conoscenze teoriche furono confermate dalla pratica. Il primo ditalino somministratomi da una donna nella mia vita fu breve e intenso. Pochi istanti dopo, cominciai a godere. A non capire più nulla. A gemere e dimenarmi mentre le dita della mia amante mi penetravano senza pietà.



Urlai senza ritegno quando un orgasmo travolgente mi piegò le gambe, facendomi scivolare contro la parete della doccia fino a lasciarmi seduta, con Bettina abbracciata a me a cullarmi. A coccolarmi. A parlarmi d’amore. Le sue dita erano scivolate fuori dal mio corpo. Sotto i miei occhi stralunati dal piacere e dall’amore, se li infilò in bocca, assaporando la mia femminilità. Dovette piacerle molto, a giudicare dalla voluttà in cui se li tenne tra le labbra, sulla lingua. Di sicuro piaceva a me, vederla così.
Uscite da una doccia sotto cui nessuna di noi due si ricordava più di essere entrata, ci ritrovammo sul letto. Ero a letto con una donna, come avevo sempre sognato. Ero a letto con una donna splendida, meravigliosa, che mi tenne come una bambina da cullare parlandomi d’amore finché il languore subentrato in me dopo la mia “prima volta” non fu sostituito da un nuovo risorgente appetito sessuale.
Non so quante volte le dissi “ti amo”, e lei lo disse a me. Sarei rimasta così per sempre, a godermi quel momento. Alla fine, si insinuò in me un pensiero quasi altrettanto sconvolgente di quello della verginità da perdere. Il mio amore non aveva goduto. E doveva averne una gran voglia, a giudicare da certe sue espressioni e sguardi. Mi aveva dedicato tutta la sua pazienza, consapevole dell’importanza dell’avvenimento per me. Ora toccava a me occuparmi di lei.
Il fatto è che non sapevo cosa fare. La teoria è una cosa, la pratica è un’altra. Voglio dire, ne avevo viste di cotte e di crude nei miei porno. Ma Bettina? Cosa si aspettava da me? Cosa le avrebbe fatto piacere da me? Come avrei fatto a darle quel piacere che sentivo di doverle dare? Di volerle dare?
Ancora una volta, fu lei a capire tutta la situazione e a trovare la soluzione giusta. Con voce giocosa, tra un bacetto e l’altro, ad un certo punto mi disse: “Cucciolotta, vuoi che ti insegni a fare l’amore con le donne?”
Il bacio sulla bocca che le detti rischiò di soffocarci. Al distacco, dovuto più a motivi di apnea che ad uno scemare della passione, le risposi: “Che cos’è che dovrei sapere?”
Mi guardò come si guarda una scolaretta impertinente. Io l’amai ancora di più. “Amore,” mi disse, ricordo ancora le sue parole,  “il corpo di una donna può essere una meravigliosa fonte di piacere, ma solo se sai come attingervi. Come abbeverarti a questa fonte….”.
Mi rovesciò sul letto e per un attimo credetti che volesse riprendere la lotta greco-romana che aveva portato a tutto questo. Si trattava di ben altro. Cominciò a baciarmi in ogni centimetro del mio corpo, solleticandomi e tormentandomi con la punta della sua lingua.


Chissà quante donne dovevi avere già avuto, Bettina…..perché non sbagliasti un colpo. Avrei goduto un’altra volta di lì a poco, se non l’avessi interrotta bruscamente, rovesciando le posizioni e bloccandola sotto di me.
“Ok…ok….” La canzonai. “Ho capito la teoria, adesso tocca a me. Mettiti comoda”.
Mi obbedì, rilassandosi immediatamente, e tuttavia – lo sentivo – restando nello stesso tempo leggermente tesa nell’aspettativa di quello che le avrei fatto. E io, che avevo ostentato una sicurezza lontana mille miglia da me, adesso ero sola, in comando, ma terribilmente sola. Non potevo sbagliare, non me lo sarei mai perdonato. Bettina doveva ricordarsi di quella notte finché campava, così come di sicuro avrei fatto io.
Sospirai, sperando che lei scambiasse quel sospiro per amore e desiderio non più trattenuti. Lei aveva gli occhi socchiusi. Non ne poteva più, povera Bettina. Andai ad istinto, la prima parte era facile. Coprire di baci il suo bel visetto, scendendo lentamente sul suo collo, dove già lo sfioramento delle mie labbra, della punta della mia lingua, le provocava i primi spasmi di piacere, le mozzava il respiro.
Da lì in poi, sapendo di aver preso la strada giusta, fare l’amore con Bettina fu come abbandonarsi ad una discesa in slittino su una pista innevata che scoprivo di conoscere bene, di padroneggiare. Il tempo di riprendere fiato, ed ero nell’incavo tra i suoi seni...




I suoi capezzoli mi attiravano, duri e tesi, invitanti alla vista. L’unica incertezza era a quale dare sollievo e quale lasciare a soffrire ancora una tensione che solo le mie labbra avrebbero potuto acquietare. Il suo petto si alzava e si abbassava affannosamente, aumentando il ritmo ad ogni contatto con la mia bocca. Non ebbi cuore di fare una scelta. Mordicchiai il suo capezzolo sinistro, e lei urlò. La schiena le si inarcò violentemente. Subito la mia mano salì a tormentarle il capezzolo destro. Nel volger di pochi istanti, Bettina era un animaletto uggiolante.
“O…o…ddio, a-more….c-così m-mi fai….m-morire!”, riuscì ad ansimare. Oh, sì, amore mio, pensai. Morirai qui, e adesso, e io mi berrò la tua anima. Aveva belle tette, Bettina. Piccole e sode. Ho sempre adorato, durante la mia vita, seni di donna non grandi, ben modellati, da poter contenere in una mano a coppa. Seni come quelli di Bettina. Il primo amore non si scorda mai, dicono. E’ vero. Il corpo di Bettina non me lo sono dimenticata più. E l’ho ricercato in ogni donna, dopo di lei.
Erano adorabili le tette di Bettina, ma era tempo di lasciarle. Le mie labbra scivolarono lungo un fianco, una zona che – appresi – per lei era altrettanto erogena. Ma forse a quel punto la mia amante era semplicemente un fascio di nervi tesi allo spasimo, e avrebbe goduto anche soltanto se le avessi sfiorato un capello.
Le mie labbra scesero giù verso la sua femminilità più accentuata, lungo il suo fianco snello, tornito. Le mie mani ho difficoltà a ricordare dov’erano esattamente, vagando sulle sue cosce che lei automaticamente mi aprì, vogliosa. Io la baciavo e l’accarezzavo, tenendomi ancora alla larga dal suo centro del piacere, dove sapevo che lei voleva condurmi. No, mia cara. Ci sarei arrivata, prima o poi, ma dovevi darmi tempo. Ci sarei arrivata a modo mio.
Sapevo già che due donne possono far l’amore con le dita. Oppure con la bocca. Sapevo tutto, avevo imparato di tutto e di più all’università segreta del sesso, nella biblioteca personale di mio fratello. Avevo visto Maghella e Biancaneve, Jacula, Isabella e la regina Maria Antonietta godere in quel modo, sotto i colpi della lingua di qualche dolcissima o impetuosa amante.
Era ciò che mancava all’educazione sentimentale di questa signorina appena diventata donna, risvegliata alla vita amorosa. Assaporare il piacere intimo di un’altra donna. Lo sapevo, lo desideravo, bruciavo dalla voglia di conoscere Bettina anche attraverso il suo sapore di femmina. Di farmi riempire la bocca da chissà quale nettare, scaturito dall’unica parte di lei su cui le mie mani non si erano ancora posate.
La baciai sul ventre, con le labbra che sfioravano finalmente la sua peluria, accennavano a scendere e poi – non appena sentivo la sua schiena inarcarsi di nuovo – si ritraevano maliziosamente. La stavo torturando, povera Bettina amore mio, ma era troppo bello. Mi sentivo liberata, in controllo, in amore. E nel frattempo raccoglievo le ultime briciole di coraggio, per fare ciò che dovevo. E volevo.
Solleticai con labbra e lingua l’interno di una coscia, all’attaccatura. Bettina mi spalancò le gambe completamente, violentemente. Era un segnale fin troppo esplicito, una supplica, un invito che sarebbe stato osceno se non mi fosse venuto da una donna innamorata, a cui io stessa avevo promesso amore. Scesi ancora lungo la coscia, mordicchiandola dolcemente nella tenera carne. Sentivo i suoi muscoli tendersi. I suoi gemiti ormai erano ad un passo da diventare singhiozzi. Prima di farla piangere, decisi che la mia e la sua ora erano giunte. Le mie labbra cominciarono a risalire l’interno delle sue cosce.
Eccomi lì, con il volto ad un centimetro dalla passerina della mia innamorata. Credo che Bettina mi farfugliò un “T-ti prego…..a-amore….”. Io le risposi soffiandole dolcemente su quelle piccole e grandi labbra nella cui visione mi stavo perdendo. Mi rispose una contrazione fulminea del corpicino che stava sotto di me. Eccomi, piccola…ecco il tuo sollievo. Avrò tanto tempo per guardarti, così bella e nuda come ti vedo adesso. Adesso devo pensare a te. Adesso…..
Non dimenticherò mai la vocetta mugolante di Bettina nell’attimo in cui la mia lingua sfiorò per la prima volta la sua passerina. Non dimenticherò mai quella sensazione inebriante che mi dette il suo sapore di donna la prima volta che lo assaggiai. Mi ero fatta tante fantasticherie, l’avevo sognato e desiderato per anni, e per anni avevo temuto una delusione. Il trovarmi a qualcosa che mi avrebbe disgustato, quando fosse venuto l’atteso momento.
Il sapore di Bettina era fantastico, delizioso. Era il paradiso che avevo immaginato, ma un paradiso diverso da come l’avevo immaginato. Era la prova che il bisogno di femminilità era per me un qualcosa che nasceva dal profondo. Un qualcosa di animale. Come un animale, mi abbeveravo adesso alle cosce di Bettina. Come un animale, Bettina lasciò che mi abbeverassi e la portassi all’estasi.
Povero amore, era talmente eccitata e sull’orlo dell’orgasmo che bastarono pochi colpi della mia lingua per farla venire come una tarantolata. E io a tenerla ferma per non perdermi il gusto e la sensazione di quel momento. Perché dalla mia bocca non sfuggisse una sola goccia del suo piacere. Me la bevvi tutta, sconvolta di piacere anch’io, delusa che fosse durato così poco, felice di aver ricambiato l’amore che avevo ricevuto da questa donna. Felice della mia “prima volta”.
Sono passati tanti anni. Tanto amore, tanto piacere, tanto dolore. Alcune altre donne nel mio letto, un bel po’ di sesso, mai uguale, sempre diverso. Posso dire ancor oggi di essere quello che Bettina ha fatto di me. In quella notte londinese, lasciando che imparassi sul suo corpo a fare l’amore con una femmina. Lasciando che scoprissi tra le sue gambe chi sono e cosa desidero.
Sono passati tanti anni, e ancor oggi quando incontro una ragazza, una donna, in qualsiasi circostanza ed in qualsiasi ambito, il mio primo pensiero recondito è’: “chissà che sapore ha……”.
Sono quella che Bettina ha fatto di me. Sono quella che riemerse dalle sue cosce innamorata di lei, ma soprattutto innamorata persa di quel sapore femminile che fu forse la magia più grande sperimentata in quella notte piena di tante magie. Non ero più vergine, ero donna, ero lesbica, ero innamorata, ero tutto ciò che avevo sempre desiderato ma non avevo mai osato chiedere, e forse nemmeno sperare. Ma soprattutto, adesso sapevo che sapore aveva il piacere di una donna. Non ho mai più potuto farne a meno.
La tenerezza dell’abbraccio con cui ci addormentammo, l’una a sfinire l’altra di piccoli bacetti residui a consumare le ultime briciole di energia prima di scivolare in un sonno ed in un sogno durante il quale probabilmente continuammo a fare l’amore, è un altro ricordo struggente di quella notte. Ci svegliammo più volte, per riprendere l’esplorazione dei nostri corpi dal punto dove l’avevamo lasciata poco prima, oppure per sfinirci di parole dolci, promesse di amore eterno, frasi che provocavano spasmi di piacere quanto e più di una carezza intima.
Nessuna delle due risparmiò un centimetro della pelle all’altra, nella ricerca di nuovi doni da fare all’amata. Quella notte in cui fui liberata da Bettina e consegnata alla mia vita scoprii molte cose di quelle che una donna può fare con il corpo di un’altra donna. Cose che magari nelle mani di amanti ancora più esperte successivamente mi avrebbero condotta a piaceri ancora più sofisticati e travolgenti. Ma che avrebbero perso quel connotato di tenerezza e – mi viene da dire – di “purezza” che non ho più ritrovato, come tra le braccia di Bettina. La donna che si prese la mia verginità.
La mia compagna di venti anni di vita mi diceva, ai tempi d’oro, che a letto ero deliziosamente puttana. Forse è vero, e lei non ha conosciuto neanche tutte le mie fantasie….. Ma posso dire che con Bettina fui soltanto una ragazzina innamorata. Quello che io feci a lei e lei fece a me fu soltanto amore.
La mattina dopo ricordo che le servii un english breakfast a letto come si fa con la propria sposa in luna di miele. Lei mi sorrise, con quella felicità sottintesa, contenuta ma palese, di una donna che ha appena finito di sognare di fare l’amore, dopo aver passato una nottata a fare l’amore. “A cosa devo tutto ciò?”, mi disse guardandomi negli occhi con uno sguardo che voleva essere soltanto affettuoso, ma che mi provocò immediatamente una contrazione al basso ventre e un tremito alle gambe.
“Al fatto che mi sono innamorata di te. E che mi hai resa felice, Come neanche immagini”, le risposi.

La baciai teneramente sulle labbra, e questa volta non c’era libidine nel nostro bacio. Solo l’amore di una sposa che bacia la sua sposa.

...continua...

Lesbia


9 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella anche questa seconda parte.Brava Lesbia! Ma la Tippy quando arriva?
Baci, Max

Lesbia ha detto...

c'é un po' da aspettare, max....credo nella quinta parte....prima c'é il resto della mia vita, capisco che qualcuno la troverà noiosa..... :-))))))

Anonimo ha detto...

No, no quale noia? La tua sexy biografia è molto piccante e scorrevole per ora, continua così. Solamente ero curioso di vedere cosa combinerete tu e quella simpatia della Tippy! Attenderò volentieri! Complimenti ancora,
Max

Lesbia ha detto...

grazie caro....vedrai, varrà la pena....se ci sta, quella "simpatia" della Tippy la faccio urlare.... :-)))))

pontellino ha detto...

Cara Lesbia, sono curioso:
il tuo racconto sarà un'autobiografia romanzata oppure ad un certo punto ci saranno sviluppi narrativi di fantasia?
... o forse è meglio lasciarci nel dubbio e far decidere i lettori?
Un saluto e alla prossima puntata.

Lesbia ha detto...

vi lascerei volentieri nel dubbio, caro Pontellino....il dubbio nell'eros è una delle componenti essenziali.....
facciamo così, riparliamone tra un paio di puntate....
baci

Anonimo ha detto...

carissima Lesbia, vorrai scusare il mio ritardo, ma solo oggi ho scoperto e subito letto la seconda parte....bellissima molto bellissima questa seconda parte, e anche qui predominano le emozioni (e anche i timori e quelle piccole incertezze) che hai manifestato con vera passione e che sei riuscita a trasmettermi...grazie veramente dolce e cara amica per aver voluto far condividere momenti intimi che vanno al di là anche della più perfetta delle scopate....ti abbraccio forte e ti bacio:-)))))))
antonius
p.s. tirata di orecchie o strizzatina di capezzoli per Tippy che di là non ti ha pubblicizzato? (io opto per per la seconda mmmmm :-)))) )

Lesbia ha detto...

caro Antonius, grazie, sei troppo carino.....se sono riuscita a trasmettere a te e qualcun altro una parte delle emozioni che ho provato io a scrivere della mia vita (e soprattutto a viverla, ovviamente) allora posso sentirmi appagata.....
p.s. secondo te che cosa strizzerei più volentieri alla nostra Tippy? :-))))))) se non ci arrivi, non hai che da aspettare le prossime puntate....
baci
Lesbia

Anonimo ha detto...

Lesbia cara grazie, sì sei riuscita a trasmettermi emozioni e sensazioni intense come se fossi lì con te in quei momenti...sei una donna e una narratrice eccezionale e sono proprio contento di averti conosciuta....maliziosamente ti direi: mostrami sul tuo corpo quello che strizzeresti a Tippy eheh....sei una vera buongustaia mia cara Lesbia...aspetto cmq le prossime puntate...baci:-))))
antonius