Oggi presentiamo il racconto di una nuova bravissima scrittrice che abbiamo trovato tramite il nostro gruppo di Facebook: Laura Sogliano.
Laura si presenta così: Sono Laura, commessa in una noiosa città del nord. Creo nella mia mente personaggi e situazioni che mi aiutano ad affrontare la monotonia del lavoro. Alcuni di questi spariscono in fretta, altri chiedono in prestito una pagina per poter sopravvivere e farsi qualche amico. Sono generosa, non potrei mai dire di no.
Il racconto che ha donato per il blog è molto eccitante e fresco e non ho dubbi otterrà il gradimento di tutti i lettori.
grazie Laura! spero ci darai altri racconti per il blog!
Donato
Bowie fa rimbalzare “sound and vision” sulle vecchie croste incorniciate che riempiono le pareti del salotto.
Lunedì, ore 9.04, ho appena iniziato a lavorare. Preparo gli stracci e i prodotti che mi serviranno in questa lunga mattinata di pulizie.
Nuova casa, nuova famiglia da soddisfare, nuova mogliettina da accontentare in fissazioni e pretese. Donna delle pulizie, collaboratrice domestica, mi chiamano in tanti modi, ma la sostanza sono queste tre ore da riempire, sbattendomi fra polvere e bucato sporco.
Bowie continua in sottofondo mentre riempio il secchio.
Ho una storia tragica alle spalle, come tutti in questo mondo. Non vi annoierò raccontandovi del mio amore culminato in un divorzio, di una figlia che sento ogni tre mesi o della bettola in cui sono costretta a vivere. Ovvietà superflue.
Oggi lavoro in questa casa per tre ore al giorno e, grazie ad un altro paio di lavori mal pagati, come questo, riesco a sopravvivere quel tanto da illudermi ancora ogni mattina.
52 anni di illusioni e speranze. La musica e qualche vizio colorano questo grigiore, che per fortuna non ha ancora inglobato il mio corpo ed il mio viso. Povera, disperata, ma gnocca come poche. E soprattutto gnocca a gratis. Tanto lavoro di gomito, scale a ripetizione e digiuno forzato valgono bene palestra, massaggi e centri estetici.
Qualche occhiata per strada la attiro ancora, insomma.
Ci penso mentre inizio a spolverare in questo stramaledetto salotto. Non ricordo nemmeno come hanno avuto il mio contatto. Non hanno fatto storie sul compenso e lavoro da sola in casa, tanto mi basta. Ci hanno tenuto molto a sottolineare il fatto che lavorino fino a tardi, come se dovessero giustificarsi. Ma davvero pensano che me ne possa….
Una chiave si muove nella serratura.
Chiudo lo stereo e mi avvicino all’entrata.
È il figlio maggiore. Camicia sgualcita, puzza di sudore e alcool.
Buongiorno, si, sono la nuova domestica. Ci mancherebbe, è casa sua.
Alto il giusto, fisico da figlio di papà che passa i pomeriggi in palestra per compensare una atavica mancanza di interessi, faccino rasato di chi non ha bisogno di controllare orario, né portafogli. Dice che ha bisogno di una doccia. Pensavo di rimanere da sola, invece c’è un cagacazzi in più. Favoloso.
Ritorno in salotto. Meglio non accendere lo stereo. Immergo lo straccio in acqua per ricominciare, ma sento un botto scoordinato provenire dal bagno. Attraverso preoccupata il corridoio, ancora con le mani bagnate. Tutto bene? Ci sono problemi? Ho sentito un forte rumore… nessuna risposta.
Busso. Busso più forte. Inizio a preoccuparmi seriamente.
Tutto bene lì dentro? Ancora nessuna risposta. Devo entrare, cazzo. Apro la porta che per fortuna non è chiusa a chiave. Il ragazzone è steso a terra di schiena, nudo come un verme. Non è riuscito nemmeno ad aprire la doccia. Collassato fra bidè e cesso. Che grandissima testa di cazzo. Urlo, più per svegliarlo che per paura. Niente, buio totale. Non posso lasciarlo così.
Lo afferro dalle ascelle, umide e puzzolenti. Lo maledico mentre lo trascino verso il corridoio. Non c’è sangue per fortuna. Devo girarlo, schiaffeggiarlo, bagnargli il volto. Dovrò pur svegliarlo in qualche modo. L’operazione è più complessa del previsto. È alto e muscoloso e questo lo fa pesare. Concentro le forze su di una spalla e tiro. Si! Ce l’ho fatta! Sento il suo alito impestato d’alcool, vedo il torace peloso. Ha un cazzo enorme.
Non riesco a distogliere lo sguardo da quell’arnese. Si, ammetto senza alcuna vergogna che in 52 anni, ho avuto modo di trattare diversa materia prima. Ma c’è qualcosa nella dotazione di questo idiota collassato che calamita i miei occhi. Un’attrazione inspiegabile, quasi animalesca. Non è solo grosso, è bello.
Devo concentrarmi sul problema. Svegliare il pargolo e rivestirlo. Cancellare questa situazione nel più breve tempo possibile. Corro in cucina a riempire un bicchiere d’acqua. Mi serve anche dell’aceto. Ritorno nel corridoio. Il membro magnetico è ancora lì. Sporge prepotente su un paio di palle contratte dal freddo. Ho l’acquolina, maledizione!
Schiaffeggio l’idiota, prima con l’acqua poi con le mani. Spaccherei il bicchiere sul suo visino se solo potessi. Inizia a dare segni di ripresa. Dove ho messo l’aceto? Apro la boccetta sotto il suo naso. Aceto e alito da ubriaco, il mattino ha l’oro in bocca.
Finalmente apre gli occhi.
Signore si alzi, le do una mano a raggiungere il letto.
Segnale cerebrale al minimo, ma il tanto che basta per capire le istruzioni. Poggia un braccio sulle mie spalle mentre si rialza e mi ritrovo incredibilmente vicina al suo cazzo. Sbalza in avanti e indietro, ammortizzato dai peli di un pube talmente perfetto da sembrare disegnato.
Mi sforzo di guardare in avanti e di sostenere il verme fino alla sua camera.
Stringo il mio braccio intorno alla sua vita, sfiorando i glutei duri e pelosi, costole, addominali…
Attrazione animalesca. Era da tanto che non mi sentivo così eccitata e spaventata. Godere sapendo di sbagliare. Ma questa è una storia che vi racconterò un’altra volta, forse.
Attrazione animalesca, non trovo altre parole per descrivere quello che sto provando. L’insieme di odori, sensazioni, visioni che sta creando in me una tensione calda ed intima. Un fuoco umido. Non conosco nemmeno l’età, pensandoci non conosco nemmeno il suo nome! È la prima volta che lo vedo in vita mia, cazzo!
Con molta più fatica di quanto avrei voluto investire in tutta la settimana lavorativa, arriviamo finalmente alla porta della sua camera. La apre con quel briciolo di coscienza che ancora gli rimane, per introdurmi al mondo delle tenebre. Finestre sbarrate, nessuna luce se non quella che proviene dal corridoio. Mi basta per individuare l’angolo del letto e trainare il carico di carne flaccida fin lì.
Respiro a pieni polmoni, alleggerita e sudata, mentre l’erede di famiglia crolla di schiena sul materasso polveroso.
Sta bene? Va meglio?
Non ha nemmeno la forza di mugolare qualcosa in risposta. È un trionfo di sonno, alcool e stupidità. Il buio gli nasconde la faccia, diradandosi dall’addome in giù.
Rimango di nuovo impigliata con gli occhi nel suo membro.
Quel fuoco umido inizia a generare fumosi pensieri che invadono la mente.
Signore torno al lavoro! Chiami se le serve qualcosa!
Quasi urlo, nonostante sia ai piedi del letto. Alzo la voce per farmi sentire o per scacciare quei pensieri?
Perché sono ancora qui ferma? Perché lo sto ancora guardando?
Corde gelide e invisibili pizzicano le dita delle mie mani.
Devo tornare al lavoro, ho tantissimo da fare.
Devo tornare al lavoro.
Ma perché sono ancora qui?
Lotto con tutte le mie forze per muovere un passo, unica possibilità di fuga da quello che si materializza nella mia mente come un fantastico disastro. Ho voglia di prenderlo in bocca. Sentirlo duro nella mia gola. Spingerlo in fondo fino a bloccare il respiro.
Possibile che mi sia ridotta così male? Immaginare una cosa del genere il mio primo giorno di lavoro per uno sconosciuto?
È da troppo tempo che non scopo. È tutta colpa della solitudine, non sono mai stata così perversa. Potrebbe essere mio figlio e, porca miseria, è completamente incosciente.
Sguazzo in questo acquitrino di sensi di colpa mentre sento qualcosa toccarmi il polpaccio. È la sua mano che risale lentamente. Allora non è del tutto svenuto. Devo solo spostare la gamba, poggiare un piede dietro l’altro e chiudermi la porta e tutto il resto alle spalle.
La sua mano è sopra il ginocchio, inizia a stringere l’interno coscia. La mia bocca è secchissima. Sembra che ogni fluido del mio corpo si sia spostato in basso e fuoriesca dal mio bocciolo di rosa. Qualcosa dentro di me vuole che senta quanto sono bagnata, che raggiunga la fonte dei miei problemi e la manipoli fino a farmi del male.
Il frutto della mia eccitazione inizia ad estendersi alle mutandine.
Il petto vibra sotto i colpi del mio povero cuore. Quanto cazzo sono eccitata.
Ecco che le sue dita sfiorano il mio sesso, ancora pochi centimetri e bacerò il suo palmo…ma sul più bello il verme collassa di nuovo e con lui ogni residua forza che sosteneva il suo braccio.
Una rabbia primordiale si impossessa di me. Perdo ogni forma di controllo e gli afferro il cazzo con una mano e le palle con l’altra. Stringo, stringo molto forte, finché non lo sento urlare dal dolore.
Nessuno ti ha dato il permesso di toccarmi!
La sua cappella si gonfia, congestionata dalla forza che applico sull’asta.
Apre gli occhi striati di sangue, mi guarda con un misto di paura e sorpresa.
Pensi che sia a tua disposizione solo perché ti lavo le mutande?!
Continuo a stringere. Continua a guardarmi. Ma se non è in grado di rispondermi con le parole, sono i corpi cavernosi che reagiscono e la resistenza nel mio pugno inizia ad aumentare.
Pensi che sia la tua schiava?!
Allento la presa, ma non troppo. Inizio a salire e scendere con il giusto vigore, mentre con l’altra mano continuo a stringere le palle. Come se fosse una punizione e non una gratificazione. Il verme si dimena ad ogni colpo. È abituato alla gentilezza, alla comodità delle giovani sgualdrine di una notte.
Non osare mai più trattarmi come la tua puttana!
Il cazzo adesso è durissimo.
Brutto stronzo!
Mi butto sul cazzo con violenza controllata. Finalmente è nella mia bocca. Lo spingo giù fino a sentire i conati, stimolando la salivazione che avevo completamente perso. Respiro col naso, mentre succhio avidamente quella cappella così magnetica. Odore di maschio, dopo una vita. Sono avida, maldestra, violenta. Ingoio, mordo, succhio come se fosse l’ultimo cazzo che mi sarà concesso fino alla fine della mia esistenza. La mia sorellina è ormai una fontana. Vorrebbe partecipare al banchetto, essere protagonista. Ma un minimo residuo di razionalità mi blocca. Lo stronzo è così ubriaco che verrebbe subito, con conseguenze nefaste. Come se dopo tutto questo non mi aspettassi conseguenze, povera scema…
Ma non ci penso e continua a ballare. Sento la sua mano afferrarmi i capelli e stringere.
Sei una troia, sussurra.
Si, sono una troia e ti tirerò fuori l’anima a forza di succhiare.
3 commenti:
bellissimo questo racconto di Laura Sogliano , complimenti e grazie a Donato per averlo pubblicato
MagniFica. Continua!!!
bellissimo racconto, vicende quotidiane sono le migliori
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