martedì 29 novembre 2022

LA TERRAZZA: LA SPADACCINA (racconto numero 2) di Richard Arkian

 



Torna il nostro amico e lettore RICHARD ARKIAN (di cui  se  CLICCATE QUI    potrete leggere un suo precedente racconto proposto sul blog) con un nuovo racconto LA SPADACCINA che in un certo senso ripropone la stuzzicante situazione del suo primo racconto rovesciandola però dal maschile al femminile, non è più un giovane studente a scoprire il sesso grazie a una maliziosa vicina di casa, ma una giovane inquilina di uno stabile a farlo con un maturo e bel vicino... La situazione si arricchisce della disciplina del Tai Chi con spada e leggendolo capirete il perché. Fateci sapere al solito nei commenti che cosa ne pensate. Noi intanto ringraziamo Richard e aspettiamo altri suoi piccanti racconti perché la stoffa del bravo narratore erotico la ha....






La Spadaccina



“La spada è come una rondine: se la stringi poco, vola via; troppo, la soffochi”

Il Grande Pèrigord, maestro di scherma di Scaramouche




Era un tardo pomeriggio di settembre e dopo una giornata di lavoro al computer Robert decise che era l’ora di un salutare break di Tai Chi.
Indossò una maglietta ed un paio di pantaloni leggeri, prese la sua spada da Tai Chi e salì sul terrazzo condominiale; il sole cominciava pigramente a tramontare.
Saliva spesso in terrazzo a fare la forma con la spada, la sera o il pomeriggio; la mattina preferiva invece scendere in un giardino sotto casa abbastanza appartato e tranquillo. Praticava lo stile Yang moderno e la forma con la spada da 32 movimenti, bella ed elegante. C’erano voluti oltre cinque mesi per impararla e la praticava assiduamente per evitare di dimenticare le sequenze, i movimenti, i tempi ed i dettagli che aveva rifinito con tanta cura in palestra.

Il terrazzo era un luogo adatto e a portata di mano: bastava fare due rampe di scale e si trovava lì, un posto all’aperto, tranquillo, ampio e spazioso, con un bel panorama a 360 gradi intorno. In lontananza l’orizzonte del mare, dall’altro lato i profili dei Castelli Romani. Tirava una leggera brezza marina ed era bello muoversi nel vento, al ritmo della forma, come se fosse una melodia di movimenti.
A volte le sequenze scorrevano leggere, aeree, altre volte più tecniche e concentrate, altre volte ancora esteticamente più fluenti. La ripeteva almeno sei volte a sera, anche se in periodi estivi il Tai Chi non era proprio indicato da fare. Contrariamente a quanto pensano molti, infatti, il Tai Chi richiede molto lavoro fisico, proprio per via di quei movimenti lenti e leggeri che però non sono affatto mosci; anzi richiedono una tensione muscolare continua anche se alternata in un costante scambio e spostamento del peso d’appoggio da una gamba all’altra, per tutto il tempo della forma.
Dopo la quarta volta consecutiva, cominciò infatti a sudare. Smise un po’ e, per alleggerire lo sforzo, cambiò forma ed eseguì la yang 24, senza armi. Anche quella era comunque impegnativa; la ripetè tre volte e poi di nuovo riprese la spada.

Fece altre due volte la 32: alla fine sudava parecchio ed emanava un forte odore lupesco. Pur avendo quasi cinquant’anni conservava qualcosa di adolescenziale; una specie di intellettuale à l’Indiana Jones. Era un bell'uomo, alto, fisico asciutto e atletico, con barba corta ed occhiali, capigliatura castana e ribelle, scomposta dalla leggera brezza serale che comunque non gli aveva risparmiato una bella sudata. La sua maglietta nera era madida di sudore; lo sentiva scorrere anche sulle gambe...

Rinfoderò la spada e si asciugò il viso con l’avambraccio. Aveva anche una gran sete; per sciacquarsi almeno la bocca entrò nel lavatoio che ormai non usava nessuno ma dove c’erano due grandi vasche di cemento con grossi rubinetti. Ad uno era attaccato un tubo di plastica verde per innaffiare. L’aprì, fece scorrere l’acqua e si lasciò inondare il viso e la bocca: l’acqua calda-tiepida, perché i tubi erano esposti al sole, lo disgustò.
Stava per andarsene per bere qualcosa di fresco a casa sua quando gli venne l’idea di farsi una doccia lì, nella vasca con quel tubo da spot pubblicitario da macho rude e sensuale. Appoggiò la spada al muro, chiuse la porta del lavatoio, si tolse pantaloni, maglietta e slip e saltò agilmente dentro la vasca.

Il pavimento di cemento era caldo sotto i suoi piedi. Aprì l'acqua. Il getto, forte e tiepido, lo investì e lo rinfrescò subito. L’acqua spruzzava forte anche fuori della vasca, sull’impiantito di cemento; gli piaceva essere inondato da quel getto potente che scorreva sul corpo sudato facendosi sempre più piacevole. Il posto, insolito e spoglio, da rimessa o magazzino, gli faceva percepire con piacere la sua nudità in un ambiente non domestico, estraneo, che gli procurava uno strano piacere erotico, tanto che si accorse che il suo grosso pene, stimolato dal getto di acqua, si era nel frattempo inorgoglito ed eretto.

Fu così che lo sorprese, con un grido soffocato, trasformato in un riso aperto e liberatorio, la ragazzina che d’un tratto entrò nel lavatoio. Era una del palazzo ma, all’inizio non la riconobbe. Portava un paio di short ed una canotta rosa con sandali dorati, i capelli lunghi rossi a coda di cavallo. Il viso, coperto di efelidi adolescenziali sembrava stupito e divertito. D’istinto lui si coprì, mentre il tubo schizzava scompostamente in giro. Lei si mise a ridere ancora di più, per la sua reazione di sorpresa, senza perdere di vista il suo corpo nudo nella vasca e la sua erezione.

Visto che lei lo guardava senza ritegno a quel punto, - pensò lui - tanto valeva che vedesse. Lei si coprì la bocca con le mani quando lo vide non più coperto, ancora bello eretto e scoppiò in una gran risata, che lo fece un po’ irritare:

Ehii – l’apostrofò in modo brusco – ma tu chi sei? E che ci fai qui? ...Lei rispose subito, con aria tra intimorita e stupita:

"Io sono Clara...non mi riconosci? Quella del quinto piano".
E aggiunse polemica: "scusa ma questo è il terrazzo anche mio! Sono venuta a prendere una cosa che ha lasciato la mamma; eccola!"
disse afferrando una borsetta di stoffa piena di mollette di plastica, quelle usate per stendere i panni. Allora lui riconobbe i capelli rossi ed il caratterino di piccola peste che ricordava quando era una bambina. Era da molto tempo che non la vedeva più, ora faceva l’ultimo anno del liceo e probabilmente i loro orari non si conciliavano. Con un furtivo colpo d’occhio lui ammirò le gambe nude e lunghe di lei nei calzoncini corti, il top che rivelava il seno appena pronunciato ma orgogliosamente eretto.

Era cresciuta, la piccola peste che, dopo la risposta polemica aveva ripreso a ridere e non accennava ad andarsene, facendo oscillare la borsetta della madre in mano.

Allora lui le disse bruscamente: "Ok, adesso che hai preso le tue cose, te ne puoi andare; lo vedi che mi sto lavando?"
Lei aveva adocchiato la sua spada, appoggiata al muro, col suo bel fodero di stoffa lucente e, ignorando il suo invito si avvicinò curiosa, per ammirarla meglio, facendogli anche un sacco di domande:

“ Che bella! è vera? E’ tua? Che ci fai? La posso prendere?” E già ce l'aveva in mano, armeggiando per estrarla dal fodero, senza riuscirci, perchè il fodero opponeva resistenza. Lui avvertì– senza contraddizioni- sia il fascino che la spada esercitava realmente su di lei, con la sua forma elegante, la lunghezza, i colori e le decorazioni, ma anche l’evidente maliziosità di quel fare la vaga. Era come se quell’avvicinarsi alla sua spada l’avvicinasse simbolicamente, alla sua nudità; questo lo eccitò.

Disse: “ Ferma, aspetta, ti faccio vedere io; non si estrae così ” e saltò agilmente dalla vasca, lasciando il tubo aperto, incurante della totale nudità. Lei si fece istintivamente un po’ indietro, lanciando una breve ma intensa occhiata lì... Senza farci caso, lui le prese la spada dalla mano e la sguainò, con un rapido gesto. Uscì dal fodero lucente e flessuosa, come il suo pene rilucente di gocce d'acqua agli ultimi raggi di sole che filtravano dalla finestra.

"Che bella! " esclamò lei prendendogliela prontamente ed ammirandone la lucentezza, il disegno del drago sulla lama, la flessuosità e la lunghezza. Come si tiene? – chiese - così? E la impugnò saldamente, ma troppo vicino all’elsa.

"No" disse lui: "si impugna così; vedi?"
e le mostrò l’impugnatura corretta.
Poi con un movimento del polso fece roteare un paio di volte la lama in una doppio otto da allenamento.

Lei ammirata disse: "Fico! lo voglio fare anche io!" E di nuovo gliela riprese impugnandola meglio e cercando maldestramente di fare l’otto; finì presto per farla cadere a terra. Gli sfuggì un grido: "Oddio, si è piegata?"

Lui la raccolse, la guardò:
"No, disse, per fortuna, non si è rovinata".
Con più prudenza e riguardo lei la prese ancora in mano e l’impugnò saldamente.
Si vedeva che impugnarla le dava piacere. Anche lui conosceva quella sensazione levigata e tornita che dava l’impugnatura, quel suo adattarsi alla mano e riempirla; era una sensazione di potere e di piacere tattile che, infatti, la faceva ambiguamente sorridere.

"Guarda" - disse lui, prendendole di nuovo la spada. Le loro mani si sfioravano e toccavano ormai con un piacere che nessuno dei due nascondeva e che faceva crescere una sottile complicità ed intesa : - "fai muovere il polso così, e fai scorrere l’impugnatura nella mano, così: ecco".

E le fece fare il doppio movimento del polso al rallentatore. Lei lo seguì attentamente, come per memorizzare bene. Quando fu sicura di aver capito riprese la spada, che ormai viaggiava dall’una all’altra mano con crescente frequenza, l’impugnò e cominciò a farla roteare, con più controllo; l’otto si disegnò presto con un gran sorriso di soddisfazione di entrambi.
Poi, mentre la faceva roteare con crescente sicurezza, con una naturalezza che lo lasciò di stucco, lei abbassò eloquente lo sguardo sul suo pene semi-eretto e chiese:
- "...e lui, si può impugnare? "
Non lo guardava in faccia, la furbetta; giocava con gli sguardi passando dalla spada al pene.
"Certo… "- rispose lui continuando a giocare sull’ambiguità :
“Ma sai come si fà?” ...Lei alzò gli occhi solo un attimo e lo turbò con uno sguardo torbido ed innocente insieme: uhmm, posso provare….
E posando delicatamente la spada per terra, vicino alla porta, che chiuse dall’interno, si avvicinò lentamente a lui.
Ammirando la naturalezza dei suoi movimenti e continuando a giocare con le metafore lui ammonì: “guarda che impugnare la spada richiede delicatezza ed energia insieme. Sai, è come stringere in mano un uccello – e sorrise - : se lo tieni troppo forte lo soffochi; troppo piano, vola via. "

Lei, con complice sguardo di sfida, lo prese in mano con una certa sicurezza, stringendo il cerchio del pollice e indice alla sua base, una presa a rovescio tecnicamente parlando, stringendolo saldamente in pugno, come la spada. Aveva una mano leggera ma ferma, notò lui. Un leggero sospiro di lei accompagnò quel prendere pieno possesso del suo pene, ancora non del tutto eretto. Averlo in pugno, si vedeva, le dava una sensazione di curiosa scoperta sensoriale, prima ancora che d’eccitazione, o le due cose insieme.
Guardandolo da sotto in sù, con occhiate frequenti ma sempre poi meno, si concentrò progressivamente sulla viva cosa che impugnata, diventava più calda, turgida e dura e, lentamente, cominciò a far scivolare la sua manina su e giù, dal basso all’alto. Gesto e ritmo erano appena un po’ incerti all'inizio, come di chi esegue qualcosa che conosce ma non fa spesso. Però, al primo gemito di piacere che gli fece sfuggire dalla bocca, ebbe un guizzo negli occhi e acquisì più sicurezza e fiducia nel potere della sua manina. I suoi movimenti si fecero più maturi e consapevoli, accompagnati da un sommesso commento ironico ed ammirato insieme:

“Ah…così gli piace!! Senti come è durooo! " Continuando a far scorrere la mano sul fallo, su e giù, con gusto, ne assaporava la crescente rigidità, resistenza, elasticità ma, soprattutto, il mugolio che lo seguiva, una melodia crescente, incalzante, regolata dalla sua mano.
Questo potere la faceva eccitare; sentì che si stava bagnando. Anche lui avvertì l’odore di sudore e di donna. Famelico la sospinse verso il muro. Lei acconsentì alla sua spinta appoggiandosi al muro con le spalle come sostegno, il suo corpo contro di lei, mentre glielo lavorava eccitata, con esperta mano. Tenui raggi dorati filtravano dalla finestrella alta nel buio del locale. China sul suo fallo lei gli faceva vedere dall’alto le tettine dalla scollatura del suo top; sotto non portava reggiseno. Le cercò allora i capezzoli e iniziò a pizzicarli col pollice ed indice, estraendole guaiti da cagnolina che si mischiarono con i mugolii che anche lei, a sua volta, gli estraeva con movimento crescente e capriccioso della mano, ora pigro, indolente, ora svelto e sfrontato, senza smettere. Il suo ritmo era stimolato anche dai suoi gemiti espressivi e dalle parole che lui le sussurava:

"Oh sì, Clara, sììì, sei una grande spadaccina, sei brava davvero..... Uhmmm, non è la prima spada che impugni, vero? "


Sorridendo non indifferente a quei complimenti sporchi, lei continuava il suo crescendo musicale che lo faceva vibrare come uno strumento che controllava sapientemente con il ritmo e l’impugnatura. Ora era passata a quella dritta cioè con l’anello pollice-indice in alto, vicino alla cappella turgida. Lo menava su e giù in un movimento psicotico della manina, capriccioso ma anche ironico e riflessivo. Aveva sperimentato infatti il potere del soft-hand; cioè ottenere di più allentando l’impugnatura, come aveva appreso prima facendo roteare la spada a forma di otto, lentamente ma con una escursione più lunga e continua.
Quell’esperienza con un uomo più grande di lei l’eccitava e l’inorgogliva perché la faceva sentire molto femmina. Anche lei prese a parlare sottovoce mentre lo masturbava; non sapeva bene se parlasse a lui o al suo coso, mentre lo scappucciava lentamente ma profondamente, dicendogli cose sconce:


“ ecco, così, fai il bravo, tira fuori la testa, esci tutto tutto, non essere timido…”.

Lo faceva sentire un po’ un oggetto usato da lei per giochi adulti. Ma quel gioco era il suo potere di donna in fiore e lo eccitava che lo usasse dandogli piacere ma strappandogli anche espressioni di dolore per l’energico strapazzamento del glande. Senza lasciarsi impressionare molto continuava con occhi socchiusi, concentrata su quel lavoro esperto che la legava intimamente a lui, in un tete a tete quasi amoroso:

“No, non ancora bello, aspetta, non ancora…; ti stai bagnando già ma adesso è presto; devi venire solo quando dico io; tu schizzi solo quando voglio io, capito?”. Un gemito profondo di consenso uscì mugolando dalla sua gola, mentre lei gli metteva la mano sinistra a coppa sotto i testicoli.

Ora li sentiva sul palmo, caldi, indifesi, pesanti, e iniziò a massaggiarli con crescente e sicura familiarità, godendo silenziosamente dei suoi gemiti che crescevano indecenti, finchè pietosa e generosa, con un’ultima esperta e profonda escursione sul fallo ormai turgido da scoppiare, lo fece sborrare senza attendere più. Lui emise un grido soffocato piegandosi su di lei: i loro visi si toccavano, entrambi accaldati, e lei accolse il suo potente, caldo e denso getto di seme tra le mani, senza schifarsi affatto; come se lo stesse aspettando, con un piccolo strillo di ammirazione e di trionfo.

Ma subito poi, con aria fintamente servizievole ed un sorriso ironico continuò a mungerlo; senza fretta ma fino a strappargli anche l’ultima goccia. Solo quando lui iniziò a guaire come un cagnolino a malincuore smise, con un sorriso adulto sulle labbra ed un tono canzonatorio:


“Va bene, va bene; ti lascio stare… per stavolta…."


Lui si ammorbidiva e acciambellava tra le sue mani come una grossa biscia domestica e lei si gustava la sensazione densa e vischiosa di quel seme che le riempiva le mani, sancendo il potere di donna delle sue inermi manine. Lei si svincolò agilmente dal suo corpo che la premeva contro il muro, andò alla fontana, rimasta aperta per tutto il tempo, con le mani piene del suo peccato.
Le lavò bene ma a malincuore, sotto il getto ormai fresco dell’acqua. Tornò svelta vicino a lui, esausto, ancora appoggiato al muro ormai vuoto. Raccolse la sua borsetta e con una voce da ragazzina, gli disse :

“adesso devo scappare, mamma mi aspetta; chissà che penserà se tardo ancora”.
"Ciao" – rispose lui sorridendo al suo vezzo ironico da bambinetta.
Anche lei sorrise complice e prima di uscire si voltò, lo sfiorò con un bacio e gli domandò con un sussurro:

“ Allora l'ho saputa impugnare bene la spada?” -

” Oh, sì - rispose lui con sincera ammirazione - sei una grande spadaccina…”


Fine

© Richard Arkian











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