giovedì 13 ottobre 2022

LA TERRAZZA: RINA & TONY (Racconto numero 1) di Richard Arkia

 



Questa estate mi ha contatta un lettore del blog proponendomi questo racconto, impegni miei e una programmazione ormai fissata di TIPPYLAND hanno fatto si che il suo scritto rimanesse un po' in attesa per l'autunno. Ora sono felice di presentarvelo! Si tratta di RINA & TONY scritto da Richard Arkian ed è come presto leggerete una sorta di racconto di formazione sessuale di un giovane studente liceale Tony che dopo aver scoperto l'autoerotismo, verrà scoperto da Rina, una vicina di casa...Ma non voglio anticiparvi altro perché dovete leggerlo e apprezzare voi stessi, non solo la nostalgica e torrida atmosfera erotica-condominiale che riporterà  forse molti lettori maschi alla propria adolescenza e a quelle sensazioni eccitanti e proibite di scoperta, ma soprattutto la bella scrittura del nostro amico Richard che probabilmente in futuro ci offrirà altri suoi racconti. Lo ringrazio, mi scuso ancora con lui per averlo attendere...

Buona lettura e fateci sapere nei commenti le vostre impressioni.



Nel 1980 Michel Foucault sostenne che il tabù della masturbazione è stato "uno stupro perpetrato dai genitori nei confronti dell'attività sessuale dei loro figli". Thomas Szasz ha riconosciuto lo spostamento di consenso scientifico nei riguardi della masturbazione: "L'attività sessuale primaria dell'umanità nel XIX secolo era una malattia. Alla fine del XX secolo è divenuta una cura".

Sin da ragazzino avevo iniziato ad avere le prime fantasie erotiche legate ad immagini e sensazioni effimere e fugaci, percepite quasi per caso: mia madre che si allacciava le calze alla giarrettiera, le mani di mia sorella che mi solleticavano l’attaccatura dei capelli alla nuca, Susy  l'amichetta del primo piano, con l’apparecchio ai denti e le gonne corte. Ognuna mi lasciava sensazioni durevoli ed intense: quel pallore caldo della coscia, la perturbante sensazione delle dita leggere sulla pelle; la sconcia leggerezza del vestitino che scopriva gambe nervose e acerbe, una lingua umida che spuntava dall’apparecchio per i denti.

Provavo un’ambigua sensazione di piacere fisico e di vergogna morale. Ma la vera, prima, bruciante colpa la vissi quando scoprii il piacere della masturbazione. Lo scoprii a letto, una notte, tra dolori di pancia e l’ingenua ricerca di placare quei dolori attraverso una specie di frenetica stimolazione masturbatoria. Quando scoprii il potere indecente della mano che, con goffi tentativi riusciva a portarmi alla quasi-eiaculazione, fui turbato e sconvolto, oltre che eccitato e rassicurato dalla scoperta. Adesso sapevo “come fare” con quello lì. Pian piano crescendo, negli anni del liceo, imparai (un fai-da-te per restare “vicino all’esperienza”) a masturbarmi con consapevole predeterminazione e migliore tecnica, inclusa la stimolazione psico-visuale, oltre che quella idraulica. La scoperta del potere erotico della visualità avvenne per gradi, in più d’un modo; ma quella più emozionante capitò casualmente, un pomeriggio assolato d’estate, mentre tutti dormivano, tranne io, sospinto da una inesausta ricerca di novità.
Non andai lontano: salii sulla terrazza condominiale, vuota e arroventata a quell’ora. Scavalcai una rete di recinzione tra terrazze e saltai in quello del palazzo adiacente. Una costruzione in cemento, bassa e lunga, ne occupava una parte; c’era un lavatoio dalle fontane gocciolanti ed una stanza-soffitta dalla porta chiusa a chiave. Girando intorno alla costruzione, trovai però la finestra, in vetro opaco, con un’anta semiaperta. La spinsi: resistette un po’ ma si aprì quel tanto da farmi intravedere l’interno. Era ingombro di cose, un po’ in ombra, la luce del pomeriggio infuocato penetrava con difficoltà all’interno, creando righe di luce e polvere che attraversavano l’intricato arredo della stanza. Come una biscia scivolai nel varco esiguo e balzai dentro, silenzioso, felino, trattenendo il respiro. Tesi l’orecchio verso la porta: il silenzio della pennichella pomeridiana era assoluto.
Mi guardai intorno: era una rimessa di servizio degli inquilini, piena di vecchi mobili, scatole e scatoloni, oggetti, riviste e libri, polvere e tappeti, un vecchio divano ed un mare di altre curiosità (giornali, abiti, stoffe, plastica, bottiglie,giocattoli) tra i quali cominciai a rovistare e spiare, senza sapere bene cosa cercavo, ma curiosamente certo che l’avrei trovato. Guardai libri, aprii scatole di cartone, alcune piene di carte, stoffe, vecchi vestiti da neonati, figurine da collezione di calciatori ed animali, un paradiso per collezionisti nel quale, ad un certo punto, con un tuffo al cuore, da una pila di vecchie riviste femminili di moda, venne fuori un numero estivo dedicato ai costumi da bagno (audaci due pezzi, ma la maggior parte, a costume intero, che vedevo per la prima volta in tale abbondanza e varietà). C’era un divano foderato di vecchio gobelin, polveroso all’olfatto, sul quale mi sedetti cautamente, tra pile di giornali e piramidi di scatole. E cominciai, col cuore che pulsava in gola, a sfogliare quelle pagine… Erano pagine di sogno, di fantasia, di bellezze sorridenti che si svelavano a me con candore e malizia per la prima volta.

Mi incantai sulla foto di una splendida bruna, formosa, in un due pezzi dal reggiseno rigoglioso e le mutandine (per allora) esigue, lo sguardo intenso e bruciante, e fu passione, furiosa, imperiosa. Sedotto ed eccitato da ciò che avevo cercato e trovato, scoprii che lui voleva proprio lei: lì e subito. E lo servii con devota e ansiosa cura. Lo tirai fuori dalla chiusura a bottoni dei pantaloncini corti, senza neanche abbassarli, palpitante e caldo. Gocce di sudore imperlavano la fronte e colavano sulla rivista e su di lei, mentre la mia mano andava, con ritmo crescente ed ansioso. Il rischio e l’eccitazione mi affannavano il respiro, che mi sembrava rumoroso ed indecente, come lui, che pulsava in mano come un cane anelante e sbavante… Gli occhi incollati su di Lei, la mano su di lui, si compì una intensa osmosi e venni su di lei, quasi subito....

Con un singulto da cagnolino guaiolante buttai il giornale sotto il divano, misi a posto lui gocciolante e mogio, e col cuore gonfio e la mente in fiamme, scappai dalla finestra come un uccello impaurito. Ma con la ferma intenzione di ritornare in quell’irresistibile luogo della colpa.

Da allora, quasi ogni pomeriggio, salivo in terrazzo per cercare orgasmi dedicati a foto di donne sconosciute, anche ripetutamente. Divenne il luogo del peccato quella soffitta solitaria, chiusa a chiave, dalla quale entravo dalla finestra, in silenzio, come un gatto. Col tempo e la confidenza, appresi a gustarmi quei momenti, con una assorta, sensuale auto-osservazione e riflessione. Ricordo le riviste impolverate sfogliate ad una ad una, le foto di donne vestite, in biancheria intima o in costume, che più mi seducevano, mi tentavano, ed il caldo seme che sprizzava, tra il piacere e la colpa per averlo ri-fatto. Divenni sempre più audace e vorace. Cominciai anche a fermarmi di più in quel posto, per sfogliare e cercare tra libri, riviste, giornali e scoprire improvvise e sconosciute fotografie di attrici, cantanti, donne di spettacolo o modelle della pubblicità, a volte acerbe, a volte mature, che chiedevano, imponevano, un secondo omaggio alla loro imprevista rivelazione…
Giunsi anche a denudarmi; prima i pantaloni, poi la maglietta, tutto per rendere sempre più devoto omaggio alla mie Dee di carta. La cosa tendeva a prendere l’aspetto rituale proprio del “vizio solitario”, come dicevano i medici di famiglia a quel tempo. Col tempo imbastivo storie, relazioni, fantasie di incontri con quelle immagini di carta, persino storie di tradimenti virtuali consumati lì per lì (oggi con te... nò, con lei...) a volte anche contrastati, combattuti. Nascondevo l’esito delle mie voglie in fogli di giornali strappati, appallottolati, gettati sotto il divano, ingenuamente certo che nessuno li avrebbe mai visti. Ero così così sicuro dalla mia impunità data dalla routine, che rimasi veramente di gelo il giorno in cui, mentre ero chino al lavoro su una lei bionda e altera, tipo mistress, in sottoveste nera, già adocchiata da tempo, la porta si aprì d’un tratto, con un percepibile rumore di serratura e sulla porta apparve lei.

Era una signora del palazzo, quella dell’ultimo piano mi sembrò, forse di quarant’anni, magra  e spigolosa, con i capelli ricci neri, una vestaglietta celeste, sandali ai piedi, le mani magre e lunghe, lo sguardo acuto, sorpreso e soddisfatto, come se mi aspettasse da tempo.

Ah, finalmente ti ho preso! disse infatti con gusto, chiudendo a chiave la porta alle sue spalle. Divenni pallido, irrigidito, sotto choc. Poi mentre lei si avvicinava con aria curiosa e sicura, ebbi l’impulso di scappare ma i pantaloni ancora abbassati alle ginocchia mi fecero fare solo due passi prima che lei mi afferrasse per le spalle, da dietro, con mani adunche, tirandomi giù sul divano: “Sta’ qui, bello! Non scappare…” disse irridente e compiaciuta. Lo sento - disse – lo sai? Sento l’odore della paura che hai. Mi parlava quasi all’orecchio, con quel tono di familiarità umiliante e rassicurante da adulta a minore, ma anche da complice.

Allora ti vieni a divertire qui, eh? Da quanto tempo? Risposi mentendo: solo oggi. Solo oggi? fece lei ironica - hai riempito tutto di cartacce lì sotto… e con un gesto indicò il divano. - No caro, tu vieni qui almeno da un mese, disse con un risolino acido. Ingoiai saliva e cercai di tirarmi su i calzoni, ma lei mi gelò: Stai fermo lì così. Te lo dico io quando ti devi rivestire. Poi soggiunse: Come ti chiami?. Farfugliai il mio nome: vero purtroppo. - E il cognome? insistette lei. Stavolta ne inventai uno molto comune. E dove abiti? chiese ancora. Gli dissi il numero civico del palazzo dopo il mio. Non sapevo mentirle del tutto; cercavo una via di mezzo tra la piena verità e la timida bugia.
Passò ad un’altra forma di umiliazione: E che cosa ci trovi a fare queste schifezze cò i giornali? disse sprezzante e curiosa insieme. Buttò un occhio lì, su di lui, rattrappito dalla paura: Manco ce l’hai si può dire, ghignò beffarda. Non sapevo che dire: che potevo dire? Ingoiavo umiliazione e paura, lei si divertiva. Mi teneva fermo per le spalle con mani lunghe e ossute. Provai a scappare, ma le ginocchia cedettero sotto per la paura. Lei se ne accorse e, soddisfatta, allentò persino la presa; mise la faccia davanti al mio viso, a pochi centimetri; sentivo il suo alito che sapeva di sigaretta. Scrutandomi con intensa curiosità, lentamente disse: Ora te la faccio passare io la voglia di venire a insudiciare qui sopra casa mia. E mi spinse sul divano, a pancia sotto, schiacciandomi col suo corpo. Sentivo la polvere del divano nel naso ed in bocca. Si mise agevolmente a cavalcioni sulle mie reni, con la testa rivolta verso le mie gambe, tenendomi fermo tra le cosce; potevo sentirne il calore e la durezza dei muscoli. Provai a liberarmi ma si era accomodata bene, mi teneva giù, controllando i miei movimenti secondo il bisogno, con tutto il peso del corpo, pur essendo magra. Sembrava sapere bene come fare assecondando i miei sforzi e tentativi di liberarmi, quasi divertita, irridendomi. Sì, sì, provaci, provaci… daì… Mi ribellai come un animale in trappola: scalciavo, mi inarcavo, sbavavo ma non riuscivo ad urlare; lei ripeteva: Sì, dai, dai, stancati per bene che dopo cominciamo. Un gelo di paura mi scese addosso. Quando smisi di agitarmi, ormai vinto, lei si chinò sul mio culo nudo ed esposto: Ecco, adesso ti sei calmato eh? sibilò soddisfatta e cominciò a darmele; la prima, secca, dura e sonora, bruciò come una frustata: lei continuò, una dopo l’altra, senza fretta, con un ansare leggero e irregolare, come un lavoro....
Le prime sculacciate a mano aperta, sferzanti e senza riguardi, me lo fecero bruciare e allora mi divincolai con rabbia; cercai di sfuggirle tra le cosce, ma lei strinse ancora più e mi tenne giù col peso assecondandomi; aveva gambe lunghe e dure, le sentivo premermi senza riguardi sulle costole. Sentivo anche il suo respiro, le mani che continuavano a darmele, ancora più forte; andavano e venivano senza tregua, come per domare la mia rabbia. Ben presto, infatti, smisi di agitarmi e lei, passata la crisi, continuò a darmele a lungo, senza fretta ma neanche soste. Con cura, precisione e sottile umiliazione, mi fece bello rosso il culo e le cosce, che bruciavano da morire. Allora piansi, mugolai, strillai. Sì, persino strillai. Un grido soffocato, ma acuto, che mi uscì strozzato. Allora lei si fermò...



Rimasi colpito; non mi aspettavo che il mio grido l’avrebbe intimorita: poi capii. Anche lei, quindi, non voleva essere scoperta. Qualcosa di strano passò nella mia testa. D’un tratto eravamo dalla stessa parte; entrambi clandestini, complici, colpevoli. Non so perché ma non strillai più. Lei non si mostrò sorpresa, come se ci contasse e, rassicurata e complice, continuò con calma, a lungo. Mi sembrava che non finisse mai: ogni tanto smetteva; ma solo per far raffreddare o cambiare mano. Respirava in modo più affaticato; a tratti sibilava frasi sommesse come se parlasse ad una parte di me che non conoscevo e mi davano brividi di strano piacere.
Ora te lo faccio vedere io Tony quello che ci vuole per te; eccole, le hai cercate, vero? le volevi fa tanto ed adesso le hai trovate Tony… E faceva piovere secchi schiaffi, sempre meno forti però, sul mio culo che bruciava come se fosse in fiamme. Te lo devo far bruciare tutta la notte; non ti devi più sedere per due giorni, capito? commentava lei. “Poi mi racconterai tutto, Tony, vero? La prossima volta mi dirai tutto, ma adesso prendile tesoro, così, da bravo. Sembrava un maternage un po’ torbido, che mi dava i brividi, non sapevo di che genere. Nessuno te le ha mai date, finora vero? Te le hanno fatte mancare, tesoro, ma ora ci pensa Rina; te ne darà tante, tante che mi verrai a cercare tu, dopo, amore; ah se mi cercherai… Era diventata melliflua, persuasiva e seduttiva, in modo perturbante, che mi umiliava ma piaceva anche terribilmente; la sua voce ipnotica aveva uno strano, inquietante effetto lenitivo, rassicurante. Però cominciava anche a stancarsi, pensai con strana lucidità. Era come se ci fosse un altro me lì vicino che vedeva tutta la scena. D’un tratto si fermò, con un lungo sospiro, quasi indecente, di cui non capii subito la natura. In tutto sarà durato un quarto d’ora, forse meno. Ma mi aveva lasciato dolori, bruciori e formicolii, per non dire altro. Sgusciai subito da sotto le sue gambe, senza resistenza da parte sua, come se fosse esausta, ed infatti si abbandonò sul divano, affannata, ma non solo di fatica, pensai guardandola. Il suo viso era infatti rosso, accaldato, quasi alterato e la vestaglia aperta lasciava vedere le gambe scoperte, magre e nervose, e il petto scosso da un respiro affannato; sembrava aver avuto appena un orgasmo.

Mi tirai su mutande e pantaloni e mentre li abbottonavo lei mi disse con una voce tornata di nuovo dura e cattiva : “Và, vai adesso… Ma non è finita qui, caro; ti aspetto la settimana prossima alla stessa ora. Neanche un minuto più tardi, Tony. Sentirle pronunciare il mio nome mi fece già tremare, come se si sentisse padrona di me; ma poi aggiunse qualcosa che mi gelò il sangue mi fece capire come fossi ormai in suo potere: “Se tardi o non vieni, sussurrò - vengo a casa tua e racconto a tua madre che tipo di porcherie hai fatto sopra casa mia, capito? e sillabò il mio cognome. Non quello falso che le avevo dato, quello vero, ridendo soddisfatta alla vista del terrore-stupore che apparvero sul mio viso.

Eh eh, caro Tony – aggiunse con sussiego, a mò di spiegazione – t’ho sentito chiamare tante volte dal terrazzino di casa da tua madre quando giocavi a pallone giù in strada, ma visto che quelle di tua madre non ti sono bastate, al resto penserà la Zia Rina, vero caro?

5 commenti:

Eros ha detto...

bel racconto dettagliato nei particolari piccanti e dopotutto chi non ha nei sogni adolescenziali immaginato una come Rina ? da parte mia ribalterei la situazione nelle prossime puntate che spero che ci siano :-)

Malia ha detto...

Queste milf sono terribili, io ne sono la dimostrazione ah ah ah. Bravo lo scrittore, sembra proprio un suo ricordo di gioventù. È così? Belle atmosfere comunque.
Malia

Anonimo ha detto...

molto bello

Anonimo ha detto...

Salve a tutti
grazie per gli apprezzamenti. Rispondo alle diverse domande e curiosità sollevate dal mio racconto. a Malia (nome terribile e suggestivo da splendida milf) rispondo che come in ogni storia c'è qualcosa di reale ed autobiografico e molta, molta fantasia. Ad Eros dico che la tentazione di dare un seguito naturalmente c'è, ma mi chiedo anche se il racconto possa restare aperto a libere fantasie personali. Il ribaltamento invece è un tema che ho già elaborato ma in un racconto diverso, che forse pubblicherò.
Grazie anche ad Anonimo per il suo post.

Eros ha detto...

fantasie personali ne ho molte e questo racconto da spunto a diverse che sono remore dell'adolescenza ma che tutt'ora si presentano sia nei sogni onirici che nella reltà
grazie ancora allo scrittore e a voi per la pubblicazione