giovedì 19 novembre 2020

LE MEMORIE DI ANNA 2 - RIMINI Parte 2 di 4 (By Monika)

 



Eccoci alla seconda parte del nuovo ciclo di racconti scriti da Monika e dedicati alle memorie di Anna.

La nostra Anna si sta arrabattando in cerca di un lavoro che le consenta di vivere dignitosamente in quel di Rimini ma le cose non sono semplici e la ragazza si troverà anora una volta in preda a dubbi e confusione.

In questo episodio conosceremo un nuovo personaggio e assisteremo ad una svolta davvero non scontata!

Monika sei davvero bravissima.

Donato 

 


Le memorie di Anna 2 - "Rimini" p. 2 (di 4)

Non c'era verso: solo con lo stipendio non avrei potuto fare fronte all'affitto e tentare di sopravvivere a Rimini.
Nessun acquisto extra era pensabile, meno che mai un paio di scarpe o un qualsiasi capo di abbigliamento.
Quello che avevo in valigia doveva bastarmi, ma per ancora sette mesi sarebbe stata dura se volevo mantenere un aspetto decente, soprattutto in negozio.
Potevo portarmi ancora qualcosa dietro dopo le visite dai miei, ma, vista la situazione, li sentivo giusto per telefono a causa del costo dei biglietti del treno.
Mollare tutto significava tornare sotto le regole di casa e di mio padre, quindi non se ne parlava proprio!
Dopo aver pagato per il sesto mese l'affitto della camera alla pensione Conchiglia, era chiaro che non avrei potuto reggere così fino a maggio, andando avanti a tramezzini o con qualche cena offerta da Davide.
Già, Davide... era notevolmente cambiato, e in fretta.
Gli andavo bene a letto, quello sempre, ma stava venendo a mancare tutto il resto; la sera usciva spesso con un gruppo di suoi nuovi amici a cui io non amavo aggregarmi, e in più, in diverse occasioni aveva ancora cercato di arrivare a fare sesso anale, pur se gli avevo detto più volte di no, o, ancora peggio, mi aveva proposto di farlo in tre, cioè coinvolgendo un suo amico.
Stavo diventando una cosa per lui.
Il suo rapporto con il sesso si stava poi complicando sempre di più, e sembrava esserne un po' ossessionato.
In ogni caso, prima di pagare di nuovo la stanza, decisi di andare dal proprietario della pensione, il signor Gian, a chiedergli cosa intendeva quando parlava di "possibile alternativa all'affitto".
Mi accolse con molta cordialità, invitandomi nella stanza dietro al bancone d'entrata.
La stanza era piccola ma ordinatissima e pulitissima, proprio come tutte le altre della pensioncina.
Su suo invito mi sedetti, accettai un caffè e poi, con molta calma, mi espose la sua idea, fin nei più piccoli dettagli, perché, come amava dire: "Lui era un tipo metodico, e amava avere tutto sotto controllo".
Dopo averlo ascoltato, gli lasciai la tazzina del caffè ancora piena sul tavolino e me ne andai, senza neanche salutarlo.

Quella sera Davide passò dal negozio a prendermi e andammo a casa sua.
Non avevo troppa voglia ma lui volle comunque fare sesso.
Cercai di partecipare il più possibile, e per fortuna, nonostante il suo vigore, si fermò alla prima.
Una volta rilassato, mi azzardai a raccontargli cosa mi aveva proposto di fare il proprietario della pensione per evitare di pagare l'affitto.
Lui ebbe una reazione anomala; si vedeva che era indignato ma c'era anche altro, che però riuscì a dissimulare.
Gli chiesi a cosa stava pensando, ma rispose con frasi di poca importanza.
Allora presi coraggio e gli domandai: "Ma... se venissi a stare con te? Qui c'è tanto spazio, non ti darei noia, e poi passo tutta la giornata in negozio".
Mi pareva strano che non me lo avesse chiesto già lui, ma la risposta fu chiarificatrice: "Beh... Anna, a me piacerebbe, credimi, ma la casa non è mia e dovrei prima chiedere a mio zio... sai com'è. Lui però è un tipo un po' all'antica... non sono sicuro che accetterebbe".
- "Cioè, fammi capire, se mi porti qui a scopare va bene, ma concedermi una sola stanza no perché devi chiedere a tuo zio?", dissi, e con un tono abbastanza irritato.
- "Cerca di capire... sono un ragazzo giovane... mio zio, da uomo, comprende che io possa avere delle esigenze con le ragazze, ma tirarmene una in casa è diverso".
Sentendo quelle parole non so cosa mi trattenne dal tirargli un calcio nelle palle, ma riuscii solo a dirgli e con tutto il fiato che avevo in corpo: "Vaffanculo!", prima di andarmene sbattendo la porta.
Incredibile, non solo ricordava Peter fisicamente ma anche come indole!

Qualche giorno dopo, nel tardo pomeriggio entrò in negozio Rita, una cliente che aveva acquistato già tante cose da noi nei mesi passati e con cui mi ero fermata più volte a chiaccherare volentieri.
Stava rinnovando l'arredamento, mi aveva detto, e voleva rendere il suo appartamento un po' più originale.
Mi vide però abbastanza abbattuta, e i discorsi andarono subito sul personale.
Le raccontai che avevo litigato con il mio ragazzo (anche se non avevo mai inteso Davide in tal senso) e poi che avevo problemi nel posto dove alloggiavo.
Mi chiese quale era, glielo dissi, e subito cambiò espressione, facendosi seria: "Il proprietario ti ha parlato della cantina?"
Rimasi esterrefatta!
Come poteva saperlo?
- "Dalla faccia che hai fatto direi di sì", disse.
Venni a sapere che, in "un certo giro", la pensione Conchiglia era nota proprio per le abitudini del signor Gian.
Mi domandò che intenzioni avevo, e le risposi che ero in vicolo cieco e non sapevo cosa fare né come uscirne.
- "A che ora chiudi, qui?"
- "Fra venti minuti".
- "Allora ti aspetto. Vieni a cena da me che ti racconto una storia", disse.
La storia che Diego (quello era il suo vero nome) mi raccontò mi lasciò a bocca aperta.
Sì, perché Rita, quella che ai miei occhi era una donna bellissima, scoprii che in realtà era un uomo, o meglio, un transessuale.
Era nato in Brasile, in una delle mille favelas che circondano le città di quel Paese, e la sua natura femminile, che il suo corpo cominciava a far trasparire, era stata per lui un viaggio attraverso il dolore.
Aveva subito molestie fin da adolescente, quando prese il nome di Rita (come la Hayworth, la sua attrice preferita), ma il primo con cui fece sesso fu un ragazzo di cui si era innamorata.
Il suo sentimento era corrisposto ma i loro incontri erano clandestini; così voleva lei, perché si sentiva esposta al giudizio altrui.
Vennero però scoperti da un parente che manteneva la sua famiglia: quell'uomo, ricattandola a causa del sostegno economico che offriva, la abusò (il pensiero mi corse allo zio Antonio e a quello che mi aveva fatto due anni prima) e poi la costrinse a prostituirsi, cosa che accettò di fare per tentare di sopravvivere e cercare di aiutare sua madre (il padre non l'ha mai conosciuto), seguendo così la sorella maggiore, già avviata su quella strada.
Mi fece capire, e molto bene, il tipo di luoghi e situazioni vissute e le persone a cui veniva data in pasto.
La sua bellezza, persino delicata, la rendeva una preda ambita, e lei, sotto minacce e violenze costanti, doveva cedere anche ai peggiori individui e alle più degradanti voglie.
Era stata poi venduta insieme alla sorella, passando da sfruttatore a sfruttatore e da città in città.
Era chiaro che non avrebbe più rivisto sua madre.
Sopportò per due anni quella vita aberrante, ma trovò le forze per scappare solo dopo aver assistito all'assassinio di sua sorella.
Sempre facendo leva sulla sua avvenenza, riuscì ad arrivare in Europa, prima in Francia, dove aveva fatto delle cure per affermare del tutto la sua identità femminile, e poi, infine, in Italia.
Era passata anche lei dalla cantina della pensione Conchiglia, disse, come molte altre ragazze e anche ragazzi, che il proprietario sapeva ben individuare le persone in difficoltà.
Le era impossibile quantificare gli uomini con cui era stata, ma alcuni li ricordava bene, a volte per la loro gentilezza a volte per la cattiveria.
Aveva esplorato il mondo del sesso in moltissime direzioni, capendo solo che è un universo a parte, talmente vasto che può contenere ogni cosa e il suo esatto contrario.
Io ero rimasta in silenzio per tutto il tempo, non sapendo cosa dire, sentendomi un po' stordita e persino ridicola, con i miei stupidi problemi...

Rita si alzò dal divanetto dove ci eravamo accomodate, mi fece una carezza e andò davanti ai fornelli.
Preparò una cena deliziosa, che consumammo quasi in silenzio degustando dell'ottimo vino.
Poi, con un fresco cocktail in mano, mi portò sul terrazzino del suo piccolo appartamento, da dove si riusciva a vedere il mare.
Lì continuò: "Vedi, Anna, a volte la vita non lascia scampo: può essere terribile. Terribile. Ma non è sempre lei che può decidere, si può anche reagire. Se si è un po' fortunati, è possibile farlo. Devi però dimostrare di essere più forte tu. Dimostrare che nulla di quello che accade contrario alla tua anima può toccarti davvero. Sono scelte difficili, anche pericolose, ma tue. Solo tue. Bisogna esserne però molto coscienti, altrimenti ci si fa solo del male. E tanto. Tu hai un'alternativa, quella di tornare a casa, anche se non ti piace. Mi sembri una ragazza con un carattere forte, ma pensaci bene: quello a cui stai andando incontro è una cosa più grande di te".
- "Ma tu ce l'hai fatta", dissi.
- "Io ero disperata", rispose.
Rita si prostituiva ancora, certo, ma ora la sua vita e il suo futuro appartenevano solo a lei.
Mi sentivo un po' scossa, e rimasi a lungo a riflettere su quelle parole, appoggiata al muretto del terrazzo, ancora caldo per il sole ricevuto durante quella anomala giornata autunnale.Più tardi mi congedai, abbracciandola e ringraziandola per la disponibilità e il sostegno che mi aveva dimostrato.
- "Di nulla", rispose con un sorriso, "Pensa, oggi è giorno di riposo. Posso permettermi anche questo, adesso".
Tornai alla pensione a piedi, camminando quasi per tutta la notte, in preda a sentimenti e pensieri contrastanti che non sapevo decifrare e di sicura rabbia verso il mondo.
Una volta arrivata, agii d'istinto, presentandomi davanti al signor Gian e dicendogli: "Accetto la sua proposta".
Avevo le mani ghiacciate.

Nel giorno stabilito per il pagamento dell'affitto, verso mezzanotte scesi nella cantina della pensione e bussai all'unica porta che c'era, come mi era stato indicato di fare.
Mi era stato anche detto di vestirmi bene, e così avevo fatto: addosso avevo un completo nero, aderente e lungo fino alle ginocchia, che mi lasciava libere spalle e braccia, poi delle lunghe calze nere e delle scarpe da sera (le uniche che mi ero portata dietro) sempre nere, e, ovviamente, della biancheria intima abbastanza sexy.
Mi aprì il signor Gian, ed entrai: nella stanza, piuttosto ampia ma vagamente illuminata da una lampada al neon attaccata al soffitto, in un angolo vidi un tavolino e una sedia dove si sedette lui, con davanti un quaderno aperto e un piccolo recipiente di vimini; appoggiata ad una parete laterale c'era una poltroncina blu e un altro tavolino con degli oggetti posati sopra; dalla parte opposta un tavolo con sopra delle confezioni di salviette di carta e un cestino lì vicino; al centro, a terra, era presente un materasso coperto da una fodera bianca, e nella parete in fondo c'erano un secchio pieno d'acqua con vicino degli asciugamani bianchi su uno sgabello, un armadio di metallo e dei bracciali di cuoio fissati con delle catene al muro.
Tutto era perfettamente pulito e ordinato, come sempre, quando si parlava del proprietario della pensione Conchiglia.
Nella stanza c'erano anche otto persone di diversa età, e almeno due di loro mi sembrarono parecchio anziani.
Erano comunque tutti uomini.
Uno di loro aveva in mano un vistoso cartoncino bianco, altri tre li avevano gialli e altri due invece rossi.
Gli ultimi due non tenevano nulla tra le dita.
Da quello che mi aveva spiegato il signor Gian - che da adesso in poi chiamerò "L'Untuoso" -, quelli senza niente in mano avevano pagato solo per guardare o, al massimo, per potermi palpare (la cifra era abbastanza accessibile), quelli con il cartoncino per fare... altro.
L'Untuoso mi presentò a tutti: "Signori, questa è Anna. Bella, vero? Sapete bene che qui da me trovate solo cose buone! Pensate, solo vent'anni. Ehhh... queste ragazze di oggi. E questa notte è qui per voi. Tutta per voi!".
Poi aggiunse: "Anna, siediti sulla poltrona e mostra ai nostri ospiti cosa fai alla tua micina quando sei sola a casa".

Cercai di placare la paura che sentivo percorrermi il corpo da capo a piedi, e, obbedendo all'ordine ricevuto, raggiunsi la piccola poltrona posizionata vicino la parete di fronte alla fila di uomini.
Dopo aver sollevato il vestito fino ai fianchi, mi ci accomodai, poi, fissando il gruppo, allargai le gambe e, lentamente, cominciai a scostare le mutandine di lato... 

 

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Una seconda parte persino sorprendente. Bellissimo lo sviluppo della trama e come viene raccontato, oltre l'inserimento del personaggio di Rita. Il finale è spiazzante, e attendere la puntata successiva sarà un piccolo tormento.

Ti posso solo rinnovare i complimenti, MoniKa!

Sonia B.

Anonimo ha detto...

Davvero una bellissima puntata, con temi non facili da trattare. Affascinante il personaggio di Rita, che spero di rivedere, e un finale eccitantissimo, che mozza il fiato.

Anonimo ha detto...

Finita di leggere ora questa seconda parte che ho trovato spiazzante.
MoniKa si conferma bravissima a imbastire i racconti, creando situazioni e personaggi mai prevedibili e con un suo gusto personalissimo nel come chiudere le varie puntate.
In questo caso, concordo con altri che il finale mozza il fiato.
Mi sono già fatto un mio film mentale su cosa accadrà ad Anna in quella cantina sfruttando la descrizione del luogo offerta da MoniKa, ma non vedo l'ora di leggere il seguito!

Mirko.