A grande richiesta ritornano le avventure della dolcissima Anna, personaggio concepito dalla bravissima Monika che ci narrerà in 4 puntate un altro capitolo della vita della sua eroina.
Ancora una volta Monika dimostra grande efficacia nel tratteggiare la personalità di Anna che appare davvero credibile nel suo essere confusa e solleciatat in diverse direzioni.
Gli episodi pubblicati in passato sono stati molto apprezzati e commentati dai lettori sia qui nel blog che sulla pagina di facebook e petanto io e la mia socia Tippy ci attendiamo altrattanta partecipazione in questo nuovo ciclo.
Donato
Le memorie di Anna 2 - "Rimini" p. 1 (di 4)
Avevo lasciato la stazione da poco.
Quel giorno faceva freddo e pioveva leggermente, ma non avevo
proprio pensato a portarmi dietro un ombrello e quindi me la sarei presa
addosso per tutto il tragitto verso casa.
Non che la cosa mi importasse: ero ancora molto scossa e la percezione del mondo intorno a me era terribilmente sfumata.
Quello sul binario 3 era stato un addio e io non avrei più visto Peter.
Lo avevo conosciuto circa due anni prima, a distanza di pochi
mesi dalla fatidica estate trascorsa nella cascina dello zio Beto, e il
nostro era stato quello che di regola si definisce un colpo di fulmine.
Alto, asciutto, biondo, occhi azzurrissimi, di carattere aperto e
sempre con la voglia di scherzare, Peter era stato per me un incontro
salvifico, che placò non poche mie angosce.
Era più grande di me di tre anni, ma per tante cose sembrava il contrario.
Studiava all'istituto G., un liceo artistico, e quella sua
trasandatezza e goffaggine perenne che dimostrava per tutte le cose del
mondo che non appartenessero alla dimensione artistica lo avevano reso
caro e tenero ai miei occhi.
Conviveva con altri tre studenti in un piccolo appartamento non
lontano dalla casa dei miei dove abitavo io, e la prima volta ci
incontrammo in un bar della zona, dove, pur se era sempre
squattrinatissimo (come scoprii dopo), si impuntò per offrirmi la
colazione.
La nostra relazione iniziò quasi subito, e per la prima volta in
vita mia scoprii cosa significa essere amata, oltre che desiderata.
Sembravamo essere le classiche due parti di un'unica creatura, che poteva completarsi solo stando insieme.
In una sola occasione ci capitò di discutere, e per un motivo tanto sciocco che ora non lo ricordo nemmeno.
Fare pace con lui fu uno dei momenti più belli della mia vita;
quella sera facemmo l'amore per la prima volta, e tra di noi sempre
quello fu: amore, mai solo sesso.
La differenza era notevole, e arrivai a capirla stando tra le sue braccia.
Era un po' impacciato anche in quelle situazioni, ed ero io, tra noi due, quella che aveva avuto maggiori esperienze.
La cosa non lo infastidì minimamente, e anzi sembrava tranquillizzarlo perché si sentiva guidato.
Il posto dei nostri incontri amorosi era l'unico dove potevamo
avere un po' di intimità, ovvero la sua vecchia 600, che per noi era
diventata l'Eden.
Se ci penso, vedo ancora adesso e distintamente i vetri malamente
coperti e appannati della macchina, e sento su di me la sua bocca, le
sue mani, le sue braccia che mi stringono, la sua pelle calda e sudata,
la sua passione che entrando nel mio corpo mi annullava ogni pensiero.
Sembrava una cosa che non dovesse finire mai, che non potesse
finire mai, ma che invece si infranse un mese prima della sua partenza, a
causa dell'arrivo di un telegramma dall'Inghilterra dove gli veniva
chiesto di tornare a casa per gravi situazioni in famiglia.
La cosa era seria e, realisticamente parlando, sarebbe stato lontano dall'Italia per molto tempo.
I nostri ultimi trenta giorni furono perlopiù di lacrime,
cercando di trovare una soluzione che potesse permetterci di resistere
alla distanza che si sarebbe creata, ma di soluzioni non ne emersero.
Spendemmo ogni parola nel tentativo di convincerci che avremmo superato quella prova, ma sapevamo che non era così.
Andare io con lui? Certo che ci avevo pensato, glielo avevo anche
proposto, e la sua risposta fu la cosa che mi fece più male, perché,
nel suo modo sempre un po' inadeguato e incerto, mi fece capire che i
suoi genitori non avrebbero mai approvato la sua scelta, ovvero, non
avrebbero mai approvato me.
Proveniva da una famiglia decisamente benestante, di rigide
posizioni politiche e religiose, e con un concetto di classi sociali ben
preciso, quindi il contrario di come Peter aveva scelto di vivere qui
in Italia, ma avevano ancora molta influenza su di lui e lì, a casa
loro, non avrebbe avuto la forza di opporsi a quelle decisioni.
Infatti si sottomise, dimostrando di essere un uomo ancora profondamente immaturo e irrisolto.
Davanti al treno che lo avrebbe portato all'aeroporto, quindi,
sapevamo entrambi che quella era l'ultima volta che ci saremmo visti.
Mi sentii abbandonata, scartata, e questo fu per me una sorpresa amarissima.
Passarono cinque mesi e mi ritrovai ancora alla stazione; questa volta il treno lo avrei preso io, con destinazione Rimini.
A casa dei miei ci stavo stretta e scalpitavo per andarmene: non
riuscivo a trovare pace e l'impulsività e le inquietudini del mio
carattere si confermavano sempre più, rendendomi insofferente ad ogni
regola.
Volevo rendermi indipendente: le imposizioni familiari, soprattutto quelle dettate da mio padre, mi pesavano terribilmente.
Non avendo possibilità economiche però era dura, quindi il cercare un impiego era il primo passo da fare.
Un'amica di famiglia, la signora Gina, che aveva a Rimini un
negozio di decorazioni e restauro di oggetti d'arredo, era alla ricerca
di un'aiutante, anche apprendista, per un anno (in realtà dal maggio di
quell'anno al maggio dell'anno successivo), e quando mia madre mi fece
cenno a quella possibilità non me la lasciai sfuggire: era l'occasione
giusta.
Un trasferimento fuori regione, e così lungo, non era però ben
visto dai miei genitori, ma ero maggiorenne e la decisione spettava a
me.
Alla fine accettarono; in fondo avrei avuto ospitalità dalla
stessa signora Gina, in una stanza sopra il negozio, quindi avevo un
punto di riferimento sicuro.
Mia madre insistette per darmi una busta con dei soldi, perché era ben cosciente che sarebbero comunque serviti.
Accettai, anche se controvoglia, consapevole che aveva ragione ma
anche delle condizioni economiche in casa (mi ripromisi di
restituirglieli, che l'orgoglio non mi mancava, e, fra tredici mesi,
neanche i soldi per farlo).
Nei suoi occhi leggevo un misto di speranze e paure, probabilmente quelle che lei leggeva nei miei.
Quindi, a fine aprile, partii, con l'obiettivo - escludendo alcune visite ai miei - di stare a Rimini per oltre un anno.
Il viaggio era un po' lungo e avevo due cambi da fare: mi ero
portata da leggere e da scrivere (sempre sul mio amato diario), ma di
inoltrarmi nelle pagine del romanzo non mi andava; il giornale preso in
stazione riportava solo le angosce della quotidianità, tra la minaccia
nucleare, problemi sanitari e le tensioni sociali e politiche di quel
1990; di scrivere non avevo voglia e quindi mi lasciai cullare dal
paesaggio fuori dal finestrino.
Il pensiero di Peter era ancora presente, ma procurava meno dolore.
Ogni tanto mi tornavano alla mente anche Gianni e Mario, i miei
due cugini con cui, due anni prima, avevo passato una delle estati più
torride della mia vita.
Furono loro a iniziarmi al sesso, e quelle esperienze, unite
all'ingombrante presenza di un nostro zio, Antonio, non le avevo più
dimenticate.
Circa due ore prima di arrivare a destinazione, nel mio
scompartimento, fino ad allora rimasto vuoto, entrarono due ragazzi,
diretti anche loro a Rimini per vacanze o lavoro.
Non si conoscevano, ma nel giro di poco attaccarono bottone tra di loro e, infine, anche con me.
Per fortuna erano simpatici e tranquilli, e con uno dei due, Davide, si instaurò quasi istantaneamente un'affinità.
Mi raccontò che, dopo aver finito gli studi a Milano, ora
stava andando a Rimini per trasferirsi in pianta stabile nella casa
lasciatagli a disposizione da un suo parente, e pensava quindi di
trovarsi un lavoro lì.
Ma questo dopo l'estate, che aveva intenzione di godersela fino
all'ultimo giorno disponibile, cercando anche di abbronzarsi un po' (in
effetti era abbastanza pallido).
Chiese tante cose di me, e gli raccontai il motivo del mio viaggio e il progetto di lavoro che mi attendeva.
Davide era alto, magro e biondo, e solo dopo un po' mi resi conto che mi ricordava Peter.
Il resto del tragitto trascorse rapidamente, e, arrivati in
stazione e salutato l'altro compagno di viaggio, Davide si offrì di
aiutarmi con il bagaglio (una valigia e un borsone. Lui aveva solo uno
zainetto), accompagnandomi fino al negozio della signora Gina.
Arrivati lì, dopo i primi convenevoli mi attese una spiacevole
sorpresa: la stanza sopra al negozio era stata occupata da una sua
nipote giunta di sorpresa in città, ma, per ovviare al problema, la
signora mi aveva preparato l'indirizzo di tre pensioncine abbastanza
economiche a cui avrei potuto chiedere alloggio per lunghi periodi.
Un po' spiazzata dalla cosa, le chiesi se potevo lasciare lì la
valigia, che avrei preso in seguito, per raggiungere quei posti con più
agevolezza.
Non ci furono obiezioni, e, preso solo il borsone, mi incamminai
in direzione dell'indirizzo più vicino, sempre accompagnata da Davide.
Fu l'occasione di conoscerci un po' di più, e, neanche a dire,
solo nell'ultima segnalata, la pensione Conchiglia, trovai una stanza
disponibile.
Era di sicuro la più economica delle tre, ma anche quella più
fuori mano, praticamente in estrema periferia: oltre non c'era altro che
spiaggia.
Davide mi salutò, perché doveva raggiungere i suoi parenti, ma
prima mi scrisse il suo numero di telefono, facendomi promettere che lo
avrei chiamato.
Nella pensione venni accolta dal proprietario, il signor Gian, un
ometto un po' untuoso che non mi fece una buona impressione, e da sua
moglie, la signora Melissa, una donna bassa e rotondetta, ma dalla
faccia simpatica, che si congedò quasi subito per andare a fare delle
compere.
In ogni caso, la stanza era pulita e persino con un bagno interno.
L'affitto, che non avevo previsto, limitava però moltissimo il
già misero stipendio che avrei ricevuto lavorando in negozio e su cui
puntavo per racimolare quel denaro da investire poi in un altro affitto
una volta tornata a casa, ma non avevo alternativa; avrei stretto la
cinghia, risparmiando quanto potevo.
Il pagamento dei tre mesi d'anticipo esaurì i soldi datemi da mia
madre e non bastarono nemmeno: il resto potevo aggiungerlo solo dopo il
primo stipendio, proroga che il proprietario accettò di concordarmi.
La mia espressione di preoccupazione evidentemente non gli
sfuggì, perché subito disse: "Ci sono altri modi per pagare l'affitto
qui. Se vorrai te ne parlerò".
Né il tono di voce né la proposta mi piacquero molto, anzi, quindi lo salutai e mi diressi in camera.
Dopo una doccia rigenerante, uscii per strada a fare due passi e prendere un po' di confidenza con la zona.
In una via laterale c'era un mercato, in cui mi inoltrai a curiosare, poi cenai frugalmente in un bar e andai a dormire.
Il giorno dopo iniziai a lavorare, e pur se il mestiere della
decorazione e del restauro mi affascinava, ero del tutto inesperta nel
settore.
La signora Gina mi fece capire che tipo di lavoretti potevo fare
per impratichirmi e come gestire un po' la clientela, quindi la giornata
passò relativamente in fretta.
Verso sera mi decisi a chiamare Davide, che rispose con molta allegria.
Mi aiutò a portare la mia valigia alla pensione e poi andammo a passeggiare sul lungo mare, illuminato da mille locali.
Mangiammo un gelato, chiaccherando, ridendo e tirando tardi,
cercando ogni scusa per non chiudere la serata: in entrambi, era ormai
chiaro, si era sviluppato un preciso desiderio, che trovò sbocco una
volta arrivati in una parte della spiaggia isolata e solitaria.
Appoggiati ad una barca, Davide si avvicinò alle mie labbra con le sue e mi baciò, a lungo.
Cominciò poi a toccarmi i fianchi e il miei piccoli seni.
Il bacio si fece più intenso, con le nostre lingue intrecciate alla frenetica ricerca del sapore dell'altro.
Iniziò a strizzarmi un po' i capezzoli, e io cominciai ad
accarezzargli il pene, già durissimo sotto i suoi pantaloni, e a quel
punto mi abbassai, gli aprii la zip facendo uscire il suo sesso, e
iniziai a leccarglielo con gusto.
Sentii che apprezzava quello che gli stavo facendo, e, con una mano, cominciò a dare un suo ritmo alla mia testa.
Dopo pochi minuti, Davide espresse il suo piacere in un copioso getto di sperma che mi ricoprì parte del viso e la mano.
Lo assaggiai con la lingua, e mi sembrò di leccare vaniglia: era davvero dolcissimo.
- "Ti piace il mio cazzo?", chiese, con un tono più timoroso che sfrontato.
- "Sei ben dotato, sì", risposi, anche se non era proprio vero.
Poi, un po' in imbarazzo, anche perché era cosciente che non mi aveva dato il mio di appagamento, si scusò.
La cosa mi parve sincera a carina da parte sua, e ci risi sopra.
Ci ricomponemmo e riavviammo, abbracciati, verso la pensione dove alloggiavo.
Sorpreso dalla mia abilità nel sesso orale, mi chiese se avevo
avuto molti amanti; gli accennai qualcosa, sorvolando sul fatto che
alcune esperienze le avevo avute con due miei cugini e con una
ragazza (Davide aveva 18 anni, due meno di me, e dava l'impressione di
avere qualche complesso nelle faccende di sesso. Aveva avuto una
fidanzata, ma con cui, da quel punto di vista, non c'era stata troppa
intesa).
Arrivati davanti alla pensione, probabilmente gli erano tornate delle voglie e cercò di farsi invitare in camera mia.
Pur se sentivo la mia fighetta bagnata, non mi sembrò però il
caso, per via di una strana sensazione che mi emerse nei suoi confronti
ma anche per non creare discorsi sicuramente fastidiosi con il
proprietario.
Ci congedammo con un altro bacio e con la promessa di vederci il giorno dopo.
Una volta entrata, venni salutata dal signor Gian, immancabile al banco, la sua posizione di controllo.
Quell'uomo mi creava un senso di disagio, ma pazienza, mi dissi,
tanto il tempo lo avrei passato più al lavoro e, forse, a casa di
Davide.
Arrivata in camera, mi stesi sul letto e mi masturbai; la prima volta dopo mesi.
Il giorno dopo, in negozio passai una piacevole giornata, riuscendo a vendere anche diverso materiale.
Verso sera, all'orario di chiusura, arrivò Davide in motorino.
Andammo a cenare in una trattoria del quartiere e poi mi portò a
casa sua, o meglio, quella che un suo zio gli aveva messo a
disposizione.Era un grande appartamento, molto spazioso e persino
elegante.
Passai la notte lì, a letto con lui.
Facemmo sesso tre volte quella notte: ne avevo bisogno, anche per
sfogare un po' di ansie e rabbie accumulate nei mesi passati (a causa
di Peter). Era un po' impacciato, ma molto appassionato e affascinato
dalla mia esperienza (proprio come Peter).
Io non riuscii ad avere un orgasmo, mentre Davide sembrava non
avere limiti nel produrre il suo seme, che non teneva mai nel
preservativo ma gli piaceva schizzarlo sul mio corpo o nella mia bocca.
La mattina dopo fui svegliata dalle sue carezze e dai suoi baci; evidentemente aveva ancora voglia di farlo.
Una sua mano si era fermata sul mio sedere, palpandolo con gusto, e, con un dito, si era inoltrato dentro il mio ano.
A quel punto disse: "Hai un culetto bellissimo. E' perfetto... L'hai mai fatto dietro?".
Sì, lo avevo fatto, e non solo con Peter, che adorava penetrarmi
in quel modo, ma purtroppo anche con lo zio Antonio, un ricordo che
ancora mi faceva star male.
Risposi: "No, e non ne ho nessuna intenzione".
Vidi che ci rimase un po' male, ma il discorso finì lì.
Alcune sensazioni che mi suscitava Davide non riuscivo a metterle
a fuoco, ma nell'insieme stavo bene con lui e la sua presenza, in
quella città a me sconosciuta, mi era di non poco conforto.
L'inizio della mia avventura a Rimini non stava andando male, quindi, e così passarono i primi tre mesi.
A inizio agosto pagai il quarto affitto della stanza,
ritrovandomi in tasca giusto i soldi sufficienti per comprarmi da
mangiare in attesa del prossimo stipendio.
Non potevo permettermi niente altro.
Notando di nuovo la mia espressione preoccupata, il signor Gian propose ancora la sua alternativa all'affitto.
Feci di nuovo cadere il discorso... ma sarebbe tornato ancora fuori.
5 commenti:
Attendevo il ritorno di Monika e della sua Anna, e si parte già con il piede giusto.
Molto bella e tutt'altro che scontata tutta l'introduzione al racconto.
Senza togliere niente a nessuno, ma qui siamo su un altro livello.
Mirko
Meraviglioso ritorno! Peccato che siano solo quattro puntate!!
Sei sempre sorprendente! Brava MoniKa!
Davvero molto bella questa prima puntata. La cosa che mi sorprende di questa serie è che riesce a non risultare mai banale o prevedibile. Non vedo l'ora di poter leggere le altre tre parti!
Sonia B.
Riapro il blog e trovo una nuova serie di Anna! Che bella sorpresa! Una puntata iniziale molto suggestiva, persino delicata mi verrebbe da dire, che conferma la curiosa anomalia rappresentata da questo personaggio. L'unica cosa che mi dispiace è che sia così breve. Ma almeno altre quattro foto di questa affascinante brunetta finiranno nella cartella della mia collezione "Anniana" a lei dedicata.
Ora vedo di recuperare qualche altro racconto apparso in questi mesi.
Buon lavoro a MoniKa e a tutti voi!
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